Asclepìade di Samo può essere considerato il continuatore ideale di Alceo, di Anacreonte e di Saffo, la poetessa dell’amore per antonomasia.
Siamo in età ellenistica (quella che vide il trionfo militare e politico di Alessandro Magno e del suo sogno di un impero universale, terminato a causa della morte prematura) e perciò opera a quasi tre secoli di distanza dai primi; ma la distanza temporale non interrompe quel filo di continuità con la tradizione letteraria arcaica, che caratterizza la sua produzione.
Con particolare sensibilità Asclepiade affronta gli stessi temi degli autori prima citati: il simposio, il vino e soprattutto l’amore.
In un genere letterario come l’epigramma, che conobbe in età ellenistica una straordinaria fortuna, il poeta di Samo poetò con grazia e finezza a manifestazione dei sentimenti personali. Se infatti l’epigramma toccherà una vasta gamma di temi e motivi, da quello votivo a quello funerario, con Asclepiade assumerà per molti versi un carattere straordinariamente lirico.
Come Zeus
Nevica grandina, suscita tenebre,
risplendi folgora, scuoti le nubi
piene di fuoco su tutta la terra.
Certo, se tu mi uccidi,
la finirò: ma se mi lasci vivo,
anche in mezzo ai pericoli più gravi
continuerò la vita nei piaceri.
Perché, o Zeus, mi trascina il dio che domina
anche te. Per lui un giorno,
mutato in oro, forzando pareti
di bronzo, sei giunto a un letto d’amore.