poesie di Anna Achmatova

Parigi

L’aria primaverile è

imperiosa, audace.

Non intrecciare una corona

di rose bianche, corona

di fragranti rose di neve,

anche tu sei solo al mondo,

hai portato il peso di una

vita non necessaria.

***

E quando imprecavamo tra di noi

E quando imprecavamo tra di noi

nella passione incandescente,

nessuno dei due capiva ancora

che non basta per due la terra ,

tormenta il ricordo rabbioso,

pena dei forti – malattia di fuoco! –

e a notte infinita il cuore insegna

a chiedere: dov’ è l’ amico?

E quando, tra le onde d’ incenso,

tuona, minaccia, esulta il coro

duri e cocciuti, inevitabili

quegli occhi guardan nell’ anima.

***

Vento afoso soffia caldo

Vento afoso soffia caldo,

ho le braccia abbronzate,

sopra me volta celeste,

è come un vetro azzurro;

secco odora l’ elicriso

sulla falce posata.

Lungo il ruvido abete

c’ è una via di formiche.

Nel pigro stagno argenteo

la vita è ancora lieve…

Quali sogni metto in rete

dell’ amaca variopinta?

***

Cala la voce ma il nerbo non cala

Cala la voce, ma il nerbo non cala,

senza amore sto persino meglio.

Il cielo è alto, di monte soffia il vento

e i miei pensieri sono candidi.

L’insonnia è andata a far la veglia ad altri,

non languo sulla cenere grigia,

la lancetta dell’oriolo della torre

non mi sembra un’asta trafiggente.

Il passato sul cuore perde peso.

Perdóno tutto. Liberazione.

Il raggio scorrazza e se la svigna

per l’edera umida di primavera.

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Anna Achmatova (Odessa 1889 – Mosca 1966) fu poetessa russa, o meglio poeta, come lei stessa preferiva definirsi. Figlia in un matrimonio infelice, Anna era stata abbandonata dal padre a tre anni; la madre sola e con cinque figlie da crescere, si era trasferita in Crimea. Così crebbe sulle rive del mar Nero, giocò sulle spiagge di Anapa, sul lungomare di Eupatoria e a quindici anni si trasferì vicino a San Pietroburgo, proprio a Carskoe Selo dove aveva studiato uno dei più famosi poeti russi, Aleksander Puskin.La futura poetessa lasciò il cognome ucraino, Gorenko, per quello tataro della nonna, Achmatova, e perseguì il sogno di vivere scrivendo versi. Sulle tracce di un destino particolare, nel 1909 Anna sposò senza troppa convinzione il poeta acmeista Nikolaj Gumilëv. Dunque anche lei fece parte del gruppo russo capeggiato dal marito,in opposizione al simbolismo ed esordì con due volumi di liriche (Sera, 1912, e Rosario, 1914), caratterizzati da una poesia dai versi concisi . L’originalità dell’Achmatova si rivelò nel taglio discorsivo e intimistico delle sue poesie, quasi sempre imperniate sugli aspetti quotidiani dell’amore. Dopo la pubblicazione di Lo stormo bianco (1917) e Anno Domini MCMXXI (1922), in cui compaiono spunti di poesia civile e religiosa, la Achmatova cadde in un profondo silenzio per ragioni politiche, saltuariamente interrotto da liriche dense di malinconia e angoscia per gli orrori della guerra. Nel 1946 fu accusata di estetismo e disimpegno politico, per questo motivo venne espulsa dall’Unione degli scrittori sovietici per poi essere riammessa nel 1955 nel clima di disgelo. La sua ultima opera di rilievo, Poema senza eroe, completata in più riprese tra il1942 e il 1962 e pubblicata solo parzialmente in Unione Sovietica, è un coraggioso tentativo di conciliare l’intimismo delle liriche giovanili con una più matura visione della realtà e della storia.

Nathan Altman, ritratto di Anna achmatova, 1914, Museo di San Pietroburgo

verde magia

Certi sentieri pare conducano al nulla, così come appaiono a prima vista; poi inizi a percorrerli, giusto due passi per sgranchirti e allontanarti dal sole. Man mano che ti addentri due alberi raddoppiano, poi si moltiplicano, l’ombra si fa bosco e le felci fitti ventagli raccolti a macchie . Vieni rapita, totalmente coinvolta, respiri il sottobosco profumato, alzi lo sguardo e misuri a spanne l’altezza di alberi centenari, ne riconosci qualcuno dal fusto, altri dal fogliame, alcuni restano senza nome e ti riprometti di ripassare quel libro di botanica che attende da tempo indeterminato. Sa di buono ogni respiro, ogni sguardo è onore alla vita che pervade l’animo, ti conquista il silenzio rotto dai chiacchiericci degli uccelli, che vorresti comprendere più del sanscrito, dal fruscio dei passi che cercano di dribblare i sassi muti e fermi sulle loro anime.

Non elabori le sensazioni, le assimili , raccogli il più possibile per farne ricordo indelebile, come in qualsiasi contatto idilliaco; sei talmente avvolta dalla materna stretta di madre Natura che non odi neppure una voce che ti chiama. O forse l’hai udita ma non vuoi farti trovare, non vuoi interrompere l’incanto in cui ti senti avvolta, così raro e intimo da valere qualche attimo in più di distacco; non rispondi, continui a camminare fino a una radura dove una coppia si è abbandonata a tenerezze e sorride il cuore nel vedere che i due Pan senza imbarazzo ti sorridono. Pensi sia meglio non disturbare il loro momento, decidi di ritornare lentamente sui passi accorgendoti di avere un certo languore; guardi l’ora e il mezzogiorno passato da un po’ ti rimanda ad abitudini quotidiane, forse meno sane della passeggiata solitaria che vorresti entrasse tra le consuetudini.
Ma dov’ eri finita?- dice una voce fuori campo-
“Mi sono persa in un pensiero così verde che mi ha disorientata”

La vacanza era appena iniziata con una verde magia.

– Daniela Cerrato

foto personale