L’ODORE DELLE MANDORLE
C’è ancora, come l’ombra in cortile
o qui, nel cuore
le labbra imbarazzate del primo bacio;
il gusto, l’odore delle mandorle trite.
L’ho qui in mano
come se nulla fosse passato, né cambiato.
Tutta fatica in nome di dio:
curarne i fusti
alleggerirli quando la neve è troppo grave.
Nutrire con gettate di vento, alito caldo
la regola paziente ch’è dentro in ogni gemma.
C’è ancora
come un lascito triste
ed educato. Come l’alone sulla camicia
come il segno
di far passare questa mia bocca sul tuo collo.
La piccola farfalla che viene su, se indugio
se non voglio staccarmi da te
da tutto il bello.
SEMI
Siamo fatti per il giorno festante e l’altro ancora.
Per la franchigia dei corpi e per la terra
per l’abbondanza dell’acqua nella bocca
il miele amaro dei salici e l’orecchio, evaso
a suoni brevi e inconclusi. Per le mani
e per le dita sorelle, per le mele, rifugio del peccato
padrone della fame. E siamo fatti per teche da museo
per la memoria dei vecchi e per i figli.
E siamo fatti per correre in collina
per somigliare alle vigne, alla zattera d’Ulisse
per fecondare col sesso il mare intero.
E siamo fatti di aria, e bava dolce, di pelle di papavero
e zoccoli di mulo.
E siamo fatti per stringerci qui in strada
il nome al campanello, due piatti, una tovaglia.
E siamo fatti per ridere nel sogno, dimentichi del braccio
che inavvertito poggia, sul pube come un’arma d’amore
siamo semi.
BATTIGIA
La vedi quella nave, laggiù
nella sua forma?
Sta tutta in una mano se ho voglia di giocare.
Ricorda un poco il bove sul prato dell’infanzia
la testa grossa, china, a cercare del conforto;
così come la punta di ferro fende l’acqua
il sale lì nascosto più denso.
Ah, mio amore!
svegliarsi con il tarlo dell’onda piccolina
premuta sopra i sassi, come una ragazzina
che pianta nella gonna alla madre il suo capriccio.
Farla tacere un attimo e immaginare il grano
il suono della pelle passandoci le dita;
il gemito dell’apice caldo. E poi tossire
distrattamente a un primo caffè
mentre ti giri, e non ne vuoi sapere del giorno
e altre sciocchezze
TURCHESE
Non ho bisogno dell’alluce di Grecia
del fiordo immacolato
in un mondo sottosopra.
Ricordo estati meglio turchesi,
là in campagna,
le sere che metteva dei pipistrelli in cielo
a fare le battaglie del grano.
E poi le ore
passate ad ascoltare storiacce tutte uguali
di diavoli e misteri da preti.
E poi le stelle
venute fuori come le efelidi;
bambine
con una pila in mano a cercare, quando è buio
le bambole di pezza perdute in piena luce.
QUI TI SONO
Tu, così immobile in un sonno di nigrizia
somigli a una foresta che agli uomini è proibita;
dove s’annidano sogni e bui animali
il vento che non scopre, non ride, non carezza.
T’avessi vista mai luccicare in petto e in viso
potrei violare il segno tracciato, entrare
e udire, fin anche le ferite dell’upupa
e del legno. E discettare insieme al tuo fiume
sul creato, sul senso dell’addio che ci incombe.
Aspetto il segno
un occhio di risveglio e di assenso.
Qui ti sono, confitto nella carne
come radice pura.
Consiglio vivamente di visitare il suo sito: https://massimobotturi.wordpress.com/
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