Giorno: 12 novembre 2022
Emilio Mantelli, l’artista di xilografie ed ex libris
Emilio Mantelli (Genova, 1884 – Verona, 1918) conosciuto per le sue xilografie, collaborò a lungo con il periodico L’Eroica, oltre a realizzare diverse illustrazioni per i libri dell’editore Formiggini. Il suo stile espressionista si caratterizza per il rifiuto dell’accuratezza del tratto e della raffinatezza del linearismo liberty, elaborando per tutta la sua vita la ricerca di un’immediatezza ottimale
Da bambino traslocò a La Spezia con la famiglia, ma tra il 1901 e il 1904 si trasferì a Firenze. Qui si iscrisse alla scuola libera del nudo di Fattori all’Accademia di Belle Arti, dove ebbe modo di frequentare Adolfo De Carolis. Strinse legami di profonda e duratura amicizia con i compagni di corso Moses Levy, Libero Andreotti, Enrico Sacchetti, Giulio Cesare Vinzio e soprattutto con Lorenzo Viani. In quegli anni la sua attenzione era rivolta ancora esclusivamente alla pittura; ma delle opere resta qualche traccia solo nei cataloghi di esposizione della Promotrice fiorentina del 1903 e del 1904 e nelle pochissime testimonianze di qualche biografo, dalle quali si ricava un interesse per le marine. Soggiornò a Venezia, prima di intraprendere un viaggio a Parigi, dal 1906 al 1908 in compagnia di Viani e Andreotti.Nel 1911 esordì nel secondo numero dell’Eroica, (rivista fondata a La Spezia da Ettore Cozzani) connotandosi per le sue xilografie tese alla ricerca di essenzialità e sinteticità, rivista alla quale fornirà un rilevante apporto.Nel 1914 partecipò alla XI Biennale di Venezia con sei opere esposte nella sala dedicata alla xilografia contemporanea in Italia ordinata dalla “Corporazione italiana degli xilografi” di Cozzani. Nel 1915 presentò otto opere di soggetto popolare alla III Esposizione internazionale dell’arte della Secessione a Roma (alla quale aveva partecipato anche nella prima edizione del 1913), contemporaneamente, a Milano intervenne alla Mostra dell’incisione italiana organizzata dalla Società per le belle arti ed esposizione permanente inviando, tra le altre opere, una xilografia a tre legni, Testa di donna, che ritraeva sua moglie Ines sposata a La Spezia. Emilio Mantelli condividendo il programma interventista di altri collaboratori dell’Eroica, si arruolò volontario nel 1915 e partì in guerra i primi di gennaio del 1916 come tenente di fanteria. Al fronte incise diversi legni a soggetto militare. Si dedicò profusamente anche alla grafica minore incidendo molti ex libris, emblemi, biglietti augurali e da visita, annunci di nozze, annunci di imprese. Lo scultore Eugenio Baroni gli ha dedicato un busto in bronzo.

Nel 1914 vennero alla luce i contrasti tra Mantelli, sostenuto da Cozzani, e De Carolis, in parte dovuti a diverse visioni artistiche sul futuro dell’Eroica, in parte causati da divergenze personali. Tra l’aprile e il maggio 1914 De Carolis e i suoi discepoli abbandonarono la collaborazione con L’Eroica, mentre Martinelli entrò a far parte del consiglio direttivo della rivista, diventandone a tutti gli effetti il direttore artistico. Da allora l’impostazione della rivista abbandonò lo stile Art Nouveau per avvicinarsi definitivamente alla corrente espressionista a cui Mantelli si rifaceva

Emilio Mantelli, L’aspirante, xilografia, dalla rivista «L’Eroica»

ex libris
Negli ultimi giorni della guerra si ammalò di polmonite, causata presumibilmente dall’influenza spagnola. Venne trasportato via treno all’ospedale di Verona, ma nonostante la forte costituzione morì l’11 di novembre del 1918.

Emilio Mantelli, Le civette, xilografia a colori, 1914-1915 ca.

Emilio-Mantelli-Xilografia



la piccola spoon river piemontese
Durante la lettura del libro illustrato ” Luoghi sacri abbandonati in Piemonte” di Gian Vittorio Avondo, Edizioni del Capricorno, 2022 mi ha colpito tra gli altri un luogo che credo andrò a visitare di persona, magari nella prossima primavera.

Si tratta di un cimitero, e precisamente quello di Fiorano Canavese. Di norma si conosce l’antichità sulla base delle tombe e degli oggetti che vi furono collocati e tanto più è remota la storia, tanto più sono importanti dal punto di vista documentario questi reperti. Le civiltà, sovrapponendosi le une alle altre hanno cancellato le tracce dei loro predecessori, tuttavia si sono conservati più o meno a vista i luoghi di sepoltura. Se nei cimiteri monumentali, come quello di Torino e Oropa ( Biella), le cappelle di famiglia emergono isolate e distanti le une dalle altre, nei cimiteri rurali sono collocate una accanto all’altra come cortine edilizie.

foto del camposanto di Fiorano prese in rete

L’antico camposanto a cielo aperto di Fiorano Canavese, in provincia di Torino, è una bellezza pacata e riservata pervasa da un’aura romantica, più collegabile all’ Inghilterra che non all’Italia. Venne scelto questo luogo di sepoltura dopo che l’editto napoleonico del 1804 stabiliva per legge che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali evitando discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, c’era una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica. La gestione dei cimiteri esistenti veniva ovunque definitivamente assegnata alla pubblica amministrazione in tutti i luoghi dove fu esteso, e non più alla Chiesa. Fu inoltre vietata, salvo eccezioni, la sepoltura in luoghi cittadini e all’interno delle chiese. Le prime inumazioni nel cimitero di Fiorano avvennero a opera non ancora completata nel 1834 in seguito a una morìa improvvisa di 42 persone che non potevano essere sepolte altrove. Il Fiorentino è un grande affioramento roccioso che sovrasta imponente il paese di Fiorano ed è un luogo di grande valore non solo in termini paesaggistici, ma anche naturalistici e storici. Da lì si godono panorami bellissimi come quello dal belvedere di fronte alla chiesa di San Grato, o quello, a sfondo del cimitero che, oltre allo spettacolo verde di gaggie e bossi, inquadra, nel silenzio dei campi e delle vigne, Cavallaria, Mombarone e l’abbraccio morenico della Serra.
Funzionò fino al 1932, anno in cui le esumazioni furono spostate nel nuovo cimitero; da quella data cadde dopo pochi anni in una condizione di abbandono e nel 1994 fu anche oggetto di vandalismo da parte di profanatori di tombe.
Per fortuna, nel 2003, grazie ad un progetto di Regione Piemonte e Comunità europea, sono stati eseguiti lavori di restauro conservativo che hanno permesso di salvaguardarlo rendendolo un piccolo museo a cielo aperto. E anche graie alla studiosa Maria Paola Capra che nel 2005 accese i riflettori con il suo splendido libro “Fiorano dalla collina di Fiorentino” ricostruendo attraverso gli epitaffi, le lapidi e le fotografie che si sono conservate, le antiche storie fioranesi hanno creato una sorta di Spoon River canavesana. Grazie a questo grande lavoro di ricerca appassionata dell’autrice, anche il canavese ricorda una variegata galleria di suoi personaggi dai vari mestieri, dal contadino, al prete, al muratore, al commerciante di bestiame ma anche storie di donne morte di parto, di bimbi annegati in Dora, dei tanti morti per le epidemie di spagnola e di colera.

Tra le lapidi spicca il monumento a Camillo Mola di Larissè che si spense quindicenne a Torino, il 23 ottobre 1900, e, per sua volontà, fu sepolto a Fiorano. Lo accolse la tomba di famiglia collocata contro il muro di cinta, proprio di fronte all’ingresso, secondo la consuetudine che riservava ai nobili e alle famiglie più in vista anche la parte migliore dei cimiteri. “Caro a quanti lo conobbero ritornò alla diletta terra. Ave desideratissimo. Te rivedremo in quel regno che eterno dura”, reca scritto l’epitaffio inciso sul monumento funebre, un breve obelisco culminante con la rappresentazione di una moderna pietà in cui il viso della madre è chino su quello del figlio che mestamente e delicatamente sorregge.
Fu lo scultore Cesare Felice Biscarra, amico di famiglia, che immortalò nei visi del gruppo scultoreo proprio i tratti di Camillo e della mamma dolente, la contessa Laura Pelletta di Cortazzone, “provvidenza dei poveri e degli ammalati di Fiorano”, che lo raggiunse il 3 luglio 1903. Ancora oggi, nel silenzio della collina, oltre l’erba alta e le sterpaglie, madre e figlio spiccano commoventi nella bellezza eterna di un dolore che ha finalmente trovato pace.
poesie di Akiko Yosano (1878-1942)
Sebbene così fragile
e così breve l’amore,
ha sangue troppo giovane
questa ragazza, per bruciare
poesie di primavera.
*
Ho sentito, non so perché
che tu mi aspettavi
e sono uscita – Nella notte
improvvisa spuntò la luna
sui campi in fiore.
*
Appoggio il mio corpo al cancello
e mi perdo in pensieri
infiniti
guardo il vento autunnale
passare sui fiori rossi.
*
Capelli neri arruffati in mille trecce. Arruffati i miei capelli e arruffati i miei arruffati ricordi delle nostre lunghe notti d'amanti
*
Via Lattea:
a letto, con lui,
apro la tenda
e guardo come, all’alba,
si separano due stelle.
*
La mia giovinezza è presso a finire simile a una pianura docile che, subita, spiombi nel mare
*
Amore o sangue?
tutta la primavera
è in questa peonia che mi ossessiona,
scende la notte, sono sola,
sola senza una poesia.
*
Se qui adesso
ripenso al percorso
della mia passione,
somigliavo a un cieco
senza paura del buio.
*
Mi piace questo alto cantare di vento. L'alba quando cammino sotto l'albero di hi dal vecchio tronco...
*

Nata come Sho Ho il 7 dicembre 1878 nel villaggio di Sakai, presso Osaka, Akiko Yosano è stata una delle più famose e controverse poetesse giapponesi del primo’900. E’ considerata una delle prime pacifiste e femministe attive nel Giappone dell’epoca Meiji: il suo anno cruciale può essere considerato il 1901. In quell’anno, all’età di 23 anni, sposò Tekkan Yosano, il responsabile editoriale della rivista Myōjō (“Stella lucente”), sulla quale aveva cominciato a pubblicare le proprie poesie. Tekkan era regolarmente sposato e divorziò dalla prima moglie per sposare Akiko, ma in pieno accordo con essa continuò a frequentarla ( oggi si definirebbe famiglia allargata). Nello stesso anno, Akiko Yosano pubblicò Midaregami (“Capelli arruffati”), una raccolta di 400 poesie ritenuta il faro del libero pensiero nel Giappone dell’epoca; come è lecito attendersi, la critica ufficiale stroncò la raccolta e la definì scandalosa. Ciò nonostante, Midaregami riscosse un successo clamoroso, e la fama di Akiko Yosano eclissò quella del marito, anch’egli comunque valente poeta. Akiko morì d’infarto il 29 maggio 1942, in piena guerra; la notizia della sua morte passò inosservata, dopo che per tutta la vita si era spesa contro il crescente militarismo giapponese ed aveva combattuto per la condizione delle donne in una società del tutto oppressiva nei loro confronti. Le sue opere non erano state messe al bando, ma comunque ignorate; solo negli ultimi due decenni è stata riscoperta, tornando a godere del successo di un tempo.
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