Il gelo bruca
i residui della notte nostra
il sogno sfrangiato sul bordo
dell’essere ancora vivi
tra poco è l’alba
noi siamo la nostra attesa
la ferita della vetrata non aperta
il rimorso che accomuna
l’aprire e il non aprire
minima gemi come acqua
tu ormai nel costato del sonno
deposta la tua parte di attesa
hai varcato il millimetro dell’abbandono
e io veglio anche
per il tuo lembo di indicibile
mentre la luce massacra l’ombra
sul lato rovescio del pensiero
**
Ora vedi ce ne siamo andati
ciascuno avvolto nella sua vera solitudine
non si tratta solo di contatto perduto
ma è l’immagine del mondo che svanisce
il significato delle pagine e della sabbia
e quello che i giornali ci dicevano dell’esistenza
ha un peso differente incerto
e il punto di vista sulla passeggiata
al verde a picco sulle acque
un verde senza senno
o con un senno diverso alla deriva
che cerca aggiustamenti una nuova prospettiva
sui frutti e sulla linea
in fondo così ovvia dell’orizzonte
e chiamano di continuo
non si sa con quali motivi
sotto il primo brillare delle stelle
che in fondo sono stelle
come sanno l’infinita’ dei mondi
come è noto allo spazio profondo
**
Non ho sonno. Non so pregare.
Accolgo la solitudine di ogni singola onda.
Questa casa ha guscio di rapina
e tentazione lunare. Non ha scale
da scendere, sono nella terra friabile
la rena scardinata. Mi lascio dietro.
Le orecchie sono pietre, i vestiboli
le vere scale dove ci si affolla. Se qualcuno dicesse
che c’è un domani distinto
da questa impronta lo sentirei menzogna.
Le solitudini sfilano sul bagnasciuga.
Non ho sonno. Conto l’unicità delle conchiglie.
I talloni scavano sotto la colonna
potrei farmi pantano e sonda che pesca
la conchiglia che accoglie tutte le acque.
**
Nessuna presenza umana
se non il margine della memoria
che batte sugli angoli le costole
l’inverno esausto conta le sue vittorie
conta il primo apparire del colore da anni
inizio e participio passato quando
il gesto che si diluvia riappare
sporgendosi e saluta
quella che sarebbe potuta essere mia figlia
sta correndo e mi chiama
ancora indecisa se esistere.
**

Bruno Galluccio è nato a Napoli dove tuttora vive. Laureato in fisica presso l’Università degli Studi di Napoli, ha lavorato in campo tecnologico occupandosi di telecomunicazioni e di sistemi spaziali satellitari in progetti di cooperazione europea. Ha pubblicato il suo libro d’esordio in poesia “Verticali” con Einaudi nel 2009; sempre per Einaudi nel 2015, “La misura dello zero” e Camera sul vuoto nel 2022. Ha diretto la collana di poesia straniera della casa editrice Heimat. Collabora con il musicista jazz Antonio Raia in performance di interazione tra poesia e musica. Con l’artista Lino Fiorito ha realizzato il volume d’arte “Carte di imbarco” (edizioni Il laboratorio, Nola) contenente disegni e testi.
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