Serafino Macchiati (1861-1916)

Alcuni artisti italiani hanno avuto maggior successo e riconoscimenti all’estero che in Patria, come nel caso di Serafino Macchiati nato a Camerino nel 1861 e morto a Parigi nel 1916. Si trasferisce con la famiglia a Roma a fine ottocento, molto versato nel disegno, esordisce giovanissimo, a soli ventidue anni, all’Esposizione Internazionale di Roma del 1883. Si integra perfettamente nell’ambiente culturale romano, entrando in contatto con Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Duilio Cambellotti e Sibilla Aleramo. In loro compagnia Macchiati gira la campagna romana per capire la condizione dei contadini, interessato a problematiche sociali e politiche di stampo socialista. Attento al Verismo, non si ritrova nel Simbolismo decadente che domina la scena romana dell’epoca, anche se guarda con interesse ad alcune opere di Francesco Michetti.

Il linguaggio pittorico di Macchiati già in origine è caratterizzato da pennellate vaporose e vibranti che donano ai dipinti una sospensione e un dinamismo di luce che richiamno influenze di Francesco Paolo Michetti con cui viene a contatto proprio durante il suo esordio presso l’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, dove il maestro abruzzese presenta il celebre Voto.

Paul Verlaine, Bibi la Purée and Stéphane Mallarmé at the Café Procope, 1890 by Serafino Macchiati (1861-1916)

Macchiati, Frescura sotto il pergolato

Si dedica alla pittura fino alla metà degli anni Novanta, quando l’abbandona per passare esclusivamente al disegno e all’illustrazione. Esegue le prime vignette per la casa editrice Sonzogno e per Il canzoniere dei fanciulli di Enrico Fiorentino (1888) pubblicato da Treves, ma è col lavoro per la Tribuna Illustrata che giunge al successo meritato con disegni per brani di Pirandello e Capuana.
Sempre caratterizzato da una linea elegante e raffinata, partecipa con illustrazioni e disegni acquarellati a diverse esposizioni italiane, tra cui la Biennale di Venezia e l’Esposizione di Milano per il Traforo del Sempione del 1906.

Serafino Macchiati, Dopo il Galà,1900

Assunto dall’editore francese Lemerre, nel 1898 si trasferisce a Parigi, lavorando come illustratore di romanzi. Poi lavora anche per la Hachette e per l’editrice Fayard, ottenendo grandissimi risultati. Nel 1901, realizza le illustrazioni di alcuni canti della Commedia per i fratelli Alinari ma la critica italiana stranamente non è benevola

Serafino Macchiati , L’apparizione di uno spettro

Nei primi anni del Novecento riprende a dipingere, raggiungendo uno stile postimpressionista che colpisce positivamente Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920) che lo fa esporre nella sua sede parigina. È autore di tele importanti caratterizzate da pennellate che racchiudono un’unione tra Divisionismo e Impressionismo, caratteristica che conserva fino alla sua morte. Dopo aver partecipato alla Mostra Internazionale di Roma del 1911, rientra a Parigi, dove continua a lavorare fino al 1916, anno della sua morte a soli cinquantacinque anni.

Serafino Macchiati,Le Visonnaire

Dopo la sua morte, nel 1922 la Biennale veneziana gli dedica una sala personale con trentadue opere, tra illustrazioni e dipinti; nel ’23 viene ricordato anche alla Galleria Pesaro, con una grande antologica che riassume tutta la sua carriera.

Macchiati, vignetta per Le Disciple

Serafino Macchiati, Morfinomani

Macchiati, Donna sdraiata sull’erba

Macchiati, La speranza perduta

poesie di Giovanni Giudici

Dal cuore del miracolo

Parlo di me, dal cuore del miracolo:
la mia colpa sociale è di non ridere,
di non commuovermi al momento giusto.
E intanto muoio, per aspettare a vivere.
Il rancore è di chi non ha speranza:
dunque è pietà di me che mi fa credere
essere altrove una vita più vera?
Già piegato, presumo di non cedere.

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L’amore dei vecchi


In una gloria di sole occidentale
vaneggi, mente stanca:
inseguito prodigio non s’adempie
nell’aldiquà del fiore che s’imbianca
ma tu, distanza, torna a ricolmarti
tu a farti terra in questa ferma fuga
mare di nuda promessa
ai nostri balbettanti passi tardi
e tu, voce, rimani
persuàdici – un poco, un poco ancora
nostro non più domani,
usignolo dell’aurora.

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Tempo Libero

Dopo cenato amare, poi dormire,
questa è la via più facile: va da sé
lo stomaco anche se il vino era un po’ grosso.
Ti rigiri, al massimo straparli.

Ma chi ti sente? — lei dorme più di te,
viaggia verso domani a un vecchio inganno:
la sveglia sulle sette, un rutto, un goccettino
— e tutto ricomincia — amaro di caffè.

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Giovanni Giudici (Porto Venere, La Spezia, 1924 – La Spezia 2011)

Tra i suoi saggi: La letteratura verso Hiroshima (1976), La dama non cercata (1985) e Per forza e per amore (1996). Tra le raccolte di versi: La vita in versi (1965), Autobiologia (1969, premio Viareggio), O Beatrice (1972), Il male dei creditori (1977), Il ristorante dei morti (1981), Lume dei tuoi misteri (1984), Salutz (1986), Quanto spera di campare Giovanni (1993), Empie stelle (1996), Eresia della sera (1999). L’intera opera poetica è raccolta nel volume I versi della vita (2000).