Barcellona ha un borgo fiabesco

Il Parco Güell a Barcellona è un’area pubblica inaugurata nel 1924 di circa 17 ettari voluta dall’impresario Eusebi Güell e realizzato dal geniale architetto Antoni Gaudí.

Antoni Gaudì

Inizialmente doveva essere parte di un progetto residenziale molto più ampio, infatti avrebbe dovuto occupare l’intero pendio della Muntanya Pelada, l’area alle spalle del centro di Barcellona. L’idea prevedeva la realizzazione di un sobborgo che unisse la periferia tranquilla ai servizi della vita cittadina; il progetto comprendeva 60 lotti destinati ad altrettante abitazioni, dotate di aree verdi, scuole, una chiesa e un grande parco.
Purtroppo l’idea venne considerata troppo all’avanguardia per l’epoca, per cui Gaudí ridimensionò il suo progetto, limitandolo a tre abitazioni di cui una destinata alla sua famiglia.

Al termine dei lavori però, il parco cominciò a suscitare la curiosità di molti, più di quanto Güell e Gaudí avessero sperato, e presto divenne un luogo di svago, luogo per eventi sportivi e culturali, aree di ritrovo di famiglie e turisti nei giorni festivi.

Le sue architetture non contrastano con la Natura circostante, anzi si integrano bene grazie alle forme morbide delle costruzioni che richiamano l’andamento serpentino degli elementi naturali; sono tondeggianti, senza spigolature e hanno i colori vivaci delle ceramiche e dai mosaici realizzati con tessere di maioliche. La combinazione dei diversi materiali rende armoniosamente vivo il contesto

Gaudì pur apprezzando il mondo classico ruppe decisamente con lo stile sino ad allora in voga e ne rielaborò i dettagli in chiave ludica dal forte impatto visivo. Basti pensare alle architetture multiformi delle abitazioni poste all’ingresso del parco, con muratura realizzata con tasselli marroni, che in lontananza appaiono di un color biscotto, degno delle favole dei fratelli Grimm. Accanto svetta una torretta alta circa 10 metri decorata da maioliche bianche e blu , una spirale che vigila sul parco. Sfruttò la differenza di livello del declivio naturale per realizzare una grande terrazza dalla quale osservare l’intero parco e il centro di Barcellona, fino al mare , chiamata Plaza de la Naturaleza. Questa ricopre una superficie ovale di 86 metri di lunghezza e 43 metri di larghezza, il cui parapetto serpentiforme si trasforma in sedute dai colori sfavillanti dati dalle maioliche, permettendo ai visitatori di godere del panorama e di assistere agli eventi in corso.
L’intera struttura regge grazie alle 86 colonne doriche che compongono la sala ipogea alla base, tanto fitte da dare l’impressione di essere circondati da una selva di alberi secolari.
Dopo la morte di Güell e in seguito al trasferimento dello stesso Gaudí, i suoi eredi decisero di cedere il parco al comune di Barcellona, affinché diventasse di proprietà pubblica. Da quel giorno la fama di questo luogo magico e pieno di colori crebbe a tanto da ottenere l’inserimento nei beni patrimonio dell’UNESCO nel 1984.

Naturalmente è uno dei luoghi più visitati dai turisti che possono percorrere sentieri snodati come fiumi, dove le colonne sono inclinate o attorcigliate come alberi, e gli spazi interni sono simili a grotte . Ovunque Gaudì ha assicurato la fioritura delle specie autoctone di piante aromatiche mediterranee: palma, carruba, pino, cipresso, fico, mandorla, prugna, lavanda, timo, salvia, mimosa e magnolia. Un luogo incantevole per ogni età.

Un gioiello architettonico di Bari: Il Palazzo dell’Acqua.

Il Palazzo dell’Acquedotto di Bari, che si trova alle spalle del noto Teatro Petruzzelli, fu progettato nel 1924 dall’ingegnere architetto Cesare Brunetti e terminato nel 1932. Sviluppato su quattro piani più i sotterranei è in stile romanico pugliese, rivestito esternamente con la pietra di Trani e arricchito da splendidi capitelli realizzati dalla magistrale abilità degli scalpellini locali. Gli arredi e la realizzazione delle decorazioni furono affidati a Duilio Cambellotti all’epoca cinquantaquattrenne e già da anni affermato maestro delle arti decorative, un professionista che dall’inizio del secolo aveva collaborato con figure del calibro di Balla, D’annunzio, Bottazzi e Grassi.
L’intervento importante di Cambellotti riguardò anche il disegno architettonico di alcune sale, ma soprattutto la decorazione pittorica di pareti e pavimenti, così come si occupò dell’illuminazione, degli arredi lignei intarsiati, delle vetrate, dei particolari in ferro battuto e dei rivestimenti in pietra e legno, sia per gli ambienti di rappresentanza al primo piano che per l’appartamento del presidente dell’ente al secondo piano. Affrontò la modernità novecentesca con ottimo gusto, coniugando Art Nouveau e Déco con istanze classico mitologiche e attraverso un’iconografia interessata ai ceti rurali e contadini.
Il motivo conduttore della decorazione del palazzo naturalmente è l’acqua, rappresentata in molteplici forme e immagini di grande effetto; acqua che scorre lungo i fregi degli arredi, lungo gli intarsi in madreperla che arricchiscono i mobili, sulle pareti decorate in marmo, nelle tele e nei disegni di tappeti e pavimenti. Un museo permanente poco conosciuto  che ospita anche mostre temporanee e uffici di ricerca.
In ultimo una nota curiosa: Duilio Cambellotti aveva sposato la cugina del futurista Umberto Boccioni e la sua influenza qua e là si intravede all’interno.
Alcune immagini qui in basso, prese dal web, mostrano la bellezza dell’insieme e dei dettagli.

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Chiesa romanica di San Secondo di Cortazzone

Nella provincia di Asti, si trovano numerose testimonianze architettoniche di epoca medioevale; un esempio, che ho rivisitato pochi giorni fa, è la piccola chiesa romanica di San Secondo di Cortazzone , gioiellino di bellezza risalente al XI secolo e il cui ultimo importante restauro risale al 1992. L’edificio ha pianta strutturata in tre navate, terminanti ognuna con abside semicircolare ed è costituito da blocchi di pietra con inserimento di file di mattoni. Sulla facciata l’ingresso è sormontato da un doppio arco di pietra delimitato da una cornice di conchiglie, per cui si presume fosse una chiesa facente parte della strada dei grandi pellegrinaggi.
Le parti laterali della facciata sono divise da semicolonne, che proseguono per l’intero perimetro dividendo l’edificio in porzioni di diversa ampiezza. Sotto alcuni archetti ai lati della cornice di conchiglie campeggiano le prime sculture zoomorfe e antropomorfe che all’interno diventano i particolari più suggestivi. Esternamente sulle absidi sono poste fasce decorative e sculture a foglie; la parete sud è particolarmente ricca di decorazioni scultoree, intrecci, fogliami e viticci interrotti e ripresi; poi una croce, teste umane, animali e un’aquila incorniciata.
L’interno ha pavimento composto da piastrelle in cotto,volte a vela e una straordinaria serie di capitelli ognuno con rappresentazioni affascinanti per simbologia. La sirena simbolo di fascino, ambiguità e tentazione, il cerchio simbolo di perfezione, la lepre indica velocità che ricorda la brevità della vita, ma anche sensualità e fecondità. Seguono in bella mostra volatili crestati, fiori, una croce, grandi petali, un pavone inscritto in un tondo, conchiglie e volute decorative, cavalli, teste bovine, pesci, un fiore e foglie di palma. Nell’abside centrale è presente l’unico affresco del XIV secolo restaurato negli anni ’90 e riportato ai suoi colori originali.
Il tutto raccolto in una piccola struttura che ci porta indietro nel tempo e chissà quali e quanti occhi han sbirciato dalle strette monofore…
Riporto qui il commento comparso su Itinerari Piemonte. N.1 speciale del 1991 in cui riconosco una delle mie riflessioni nate durante la visita:

“Cos’ha san secondo che affascina tanto? …La chiesa è tutta lì,neppure tanto grande,disadorna se non per i capitelli con quelle figure e quelle forme di neppure facile lettura per noi profani. Forse sta proprio in questo il fascino…nella semplicità rustica eppure così artisticamente preziosa, nei pensieri e nei sogni che evoca, nel silenzio devoto che promana da queste pietre…”

Tutte le fotografie  postate sono personali.

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Il Ponte del Diavolo nel Parco dei rododendri di Kromlau,Germania

In Sassonia, nel comune  di Gablenz, al confine con la Polonia, nel florido parco naturale di Kromlauer c’è un ponte caratteristico costruito nella seconda metà dell’800 che passa sulle acque del Rakotzsee. Le sue estremità sono costituite da roccia di basalto suddivisa in guglie sottili e in colonne ottagonali, e la sua forma a semicerchio è talmente perfetta che quando è riflesso sull’acqua forma un cerchio esatto. Chiamato “Ponte del Diavolo” per il suo disegno, che si fatica a credere possa essere opera umana, offre uno spettacolo fantastico nel contesto dell’intero parco, specie nel mese di maggio o in autunno, quando esplode la fioritura delle innumerevoli varietà di rododendri ed azalee. Per preservarne il più possibile la bellezza e l’integrità non è più possibile attraversarlo.

Dalla prima immagine che segue, altamente suggestiva quella sagoma che si vede dietro il ponte pare quella di un veliero fantasma che vaga da tempo alla ricerca del suo antico equipaggio…già solo a vederlo in immagini si è scatenata in me questa fantasia, ma penso di non essere l’unica… 😀 
Oltre a quelle che posto altre splendide immagini le potete trovare al seguente link: http://oberlausitz-bilder.de/sehenswuerdigkeit/rhododendronpark-kromlau/#15/51.5370/14.6326

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Fausto Corsetti- Le fontane di Roma

Altro prezioso commento di Fausto Corsetti a un mio post dedicato ad una fontana
( https://ilmondodibabajaga.wordpress.com/2017/04/09/zampillo/ )
Le fontane, strutture architettoniche hanno da sempre un gran fascino, completano la scenografia di una piazza o la parte di una strada e con la loro offerta frescura attraggono folle nelle giornate torride. Ci sono fontane monumentali di geniali scultori del passato conosciute ormai in tutto il mondo o piccole fontanelle opere di autori sconosciuti, ma tutte in ogni caso meritano attenzione per la loro preziosa utilità.
Passiamo dunque alla piacevole visita di alcune fontane romane con la guida di Fausto Corsetti, a cui ho solo aggiunto qualche immagine in calce. Grazie Fausto!

” Roma: città d’agosto, capitale calda, deserta, quasi innaturale.
Una città che offre scorci interessanti quando non si è distratti dal suo caos metropolitano e il ritmo frenetico.
Roma ferragostana, città silente, sorniona ma mai vuota che offre occasioni irripetibili di riappropriarsi di spazi, rapporti, incontri , difficili da percepire in altri giorni dell’anno. Il silenzio festivo irreale mattutino e quel borbottio liquido… delle sue fontane.
Conoscere il numero delle fontane oggi esistenti a Roma è praticamente impossibile, poiché disseminate tra strade, piazze, cortili, giardini, palazzi e parchi, se ne contano alcune migliaia.
E’ facile pensare che nessuna città al mondo possa vantare un numero di fontane superiore o uguale a quelle esistenti a Roma. Da sempre hanno costituito il principale arredo urbano della città, che si esprime sia nelle splendide fontane monumentali sia in quelle che, create unicamente per uso pubblico, sono poi divenute un elemento caratterizzante di quartieri e rioni, legandosi a leggende o eventi realmente accaduti.
L’attrazione e l’interesse che le fontane suscitano a chi visita la città sono sintetizzabili nelle parole di Shelley, grande poeta e viaggiatore dell’ottocento: “Bastano le sue fontane per giustificare un viaggio a Roma”.
In questo breve viaggio fra le fontane romane, vogliamo far conoscere alcune tra quelle meno note e imponenti che, costruite per soddisfare i bisogni del popolo, si sono radicate nella storia e nelle leggende della nostra città.
Iniziamo dalla Fontana del Facchino che si trova in Via Lata ed è incastrata nelle mura del Palazzo De Carolis. Venne inizialmente attribuita a Michelangelo, ma è probabile che il suo autore sia stato Jacopo Del Conte, che la realizzò sul finire del cinquecento. La fontana ritrae un mitico facchino romano, tale Abbondio Rizio, noto per la sua erculea forza, ed è annoverabile fra le statue parlanti di Roma, poiché fu utilizzata frequentemente, come quella più famosa di Pasquino, per esporre spiritosi e corrosivi libelli indirizzati alla Curia e al governo pontificio.
Addossata alla facciata della chiesa di Sant’Atanasio dei Greci si trova la Fontana del Babuino, così chiamata dai romani per la bruttezza della figura rappresentata, che invece è probabilmente la raffigurazione della divinità sabina Sauco o Fidio.
Anche questa, come la precedente Fontana del Facchino, è considerata una delle statue parlanti di Roma.
La Fontana del Mascherone venne fatta edificare dai Farnese nel 1570. Essa fu collocata in Via Giulia, in corrispondenza dei giardini di Palazzo Farnese, oggi sede dell’Ambasciata francese. Sia la vasca di raccolta dell’acqua che il mascherone da cui essa sgorga sono di epoca romana e provengono da una delle tante terme capitoline.
Non sempre dalla Fontana del Mascherone sgorgava acqua poiché, in occasione di feste particolari, dalle sue cannelle usciva un ottimo vino dei Castelli romani, come nel 1720 quando – durante la festa organizzata per Marc’Antonio Zondadari, in occasione della sua elezione a Gran Maestro dell’Ordine di Malta – dalla fontana sgorgò vino per tutta la notte.
La Fontana dell’Acqua Angelica si trova nel rione Borgo e, più precisamente, in Piazza delle Vaschette. Fu commissionata dal Comune di Roma all’architetto Buffa nel 1898 e inizialmente collocata a fianco della Chiesa di S. Maria delle Grazie, a Porta Angelica. Pur essendo di pregevole fattura, la notorietà della fontana è dovuta alle proprietà terapeutiche della sua acqua, ritenuta ottima per la cura delle affezioni delle vie biliari.
La Fontana dei Libri si trova in Via degli Staderari, nota anche come fontanella della sapienza, è una delle fontane fatte realizzare dal Comune di Roma nel 1927 dall’architetto Pietro Lombardi per decorare il rione S. Eustachio. Ai lati della testa del cervo, simbolo del rione, ci sono quattro antichi libri che ricordano la vicina Università “La Sapienza” che, fondata nel 1303, continuò ad operare sino al 1935. Un particolare curioso è che il rione S. Eustachio viene erroneamente indicato come il quarto rione di Roma, mentre è l’ottavo.
La Fontana della Botte è in Via della Cisterna, a Trastevere. Si tratta di un’altra pregevole opera dell’architetto Lombardi, realizzata negli Anni Venti, su commissione del Comune di Roma. Per la sua progettazione, l’architetto si ispirò alle tante osterie che popolano questo storico quartiere romano, rappresentando gli elementi caratteristici di queste attività: la botte, lo sgabello e le fiaschette utilizzate per la mescita. Inizialmente la fontana non fu molto apprezzata dagli osti trasteverini, che venivano spesso accusati – a volte a ragione – di allungare il vino con acqua.
Un’altra fontana, raffigurante un facchino, è quella posta in Largo S. Rocco che fu realizzata per conto della Confraternita degli Osti e Barcaioli nel 1774. La fontana ritrae un giovane popolano con il cappello da facchino che versa acqua in una botte, mentre nella fontana in Via Lata, costruita circa duecento anni prima, il facchino la versa dalla botte.
Il 6 aprile 1644, appena pochi mesi dopo aver realizzato la celebre Fontana del Tritone, al Bernini fu affidato l’incarico di costruire una fontana bassa di piccole dimensioni da utilizzare come “beveratore delli cavalli”, che solitamente si costruiva accanto alle fontane monumentali. Il Bernini creò la Fontana delle Api, considerata un elegante saggio del Barocco romano. Ma, purtroppo, durante i lavori di sistemazione della piazza, l’opera andò perduta. L’attuale Fontana delle Api, posta alla fine di Via Veneto, è una copia realizzata con molte alterazioni dallo scultore Adolfo Apolloni.
Queste sono alcune delle fontane che impreziosiscono le strade e piazze della nostra città e, sperando di aver suscitato l’interesse dei lettori, ci auguriamo che vogliano continuare in prima persona questo viaggio, tra le leggende, la storia e la magia dell’acqua che si fa arte.”
ROMANE FONTANE DIMENTICATE
di Fausto Corsetti

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sopra: Fontana del facchino          Sotto: fontana del Mascherone

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Sotto: la fontana dei libri

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La fontana dell’Acqua Angelica e più sotto quella Della Botticella

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Palazzo Biscari, Catania

Oggi in rete mi ha colpita una foto che raffigura una scala dall’architettura sorprendente…

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si tratta della scala a forma di onda marina di Palazzo Biscari in quel di Catania, dove  purtroppo non sono mai stata. Così sono andata a cercare notizie su questo splendido palazzo barocco. Varie e bellissime sono le foto che esaltano la bellezza della facciata e dello scalone d’onore oltre che degli interni, ma non le inserisco qui, se volete potete visionarle al sito diretto http://www.palazzobiscari.com/

Preferisco invece proporre un video piuttosto interessante, dove lo stesso discendente dell’antico casato, il principe Ruggero Moncada, che dimora tuttora in un’ala del palazzo, ne racconta simpaticamente la storia, evidenziando la bellezza del favoloso salone della musica e rivela alcuni aneddoti. Buona visione.

Anila Quayyum Agha, “Intersezioni”

Anila Quayyum Agha è un’artista, nata nel 1965 a Lahore, che ha ideato un delicato, seppur complesso, gioco di forme e ombre ed è  stata vincitore, sia per pubblico che per giuria, di Artprize 2014.
La sua installazione “Intersezioni” è nata partendo dall’osservazione dei disegni geometrico floreali presenti negli spazi sacri islamici e combinandoli con altre esperienze artistiche vissute in Pakistan.
Così, creando un modello a cubo in legno intagliato a laser, riproduzione di uno schema a disegni arabescati, illuminato dall’interno e appeso al centro dello spazio espositivo, è riuscita a realizzare un gioco dinamico di ombre, spazio e luci, divenuto per i visitatori una magica immersione in una rete di ombre intricate e suggestive.
Le geometrie sapientemente illuminate si espandono e vengono proiettate sulle pareti circostanti, sulla volta e sul pavimento, creando pizzi giganti. E’ dunque una combinazione fra disegno scultura e architettura che ricorda visioni dell’Alhambra. Come la stessa artista spiega: “Il modello in legno emula un modello dall’alhambra, che è stato un progetto intelligente all’intersezione della storia, della cultura e dell’arte ed è stato un luogo dove discorsi islamici e occidentali si incontrarono per coesistere in armonia e servirono come testamento alla simbiosi della differenza. La familiarità dello spazio visitato al palazzo dell’Alhambra e le memorie di un mio passato si sono uniti per creare questo progetto».
L’installazione di Agha è nata soprattutto con l’intento di creare uno spazio in cui i visitatori di qualsiasi razza e religione, opinione o convinzione, potessero sentirsi benvenuti e partecipare emotivamente allo straordinario richiamo della bellezza.

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Anila Quayyum Agha, All the Flowers Are for Me, 2017. Courtesy of Peabody Essex Museum
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alcuni dettagli dei disegni di Anila Quayyum Agha, dal suo sito web

 

Oradea, la piccola Parigi rumena

Nella zona nordovest della Romania, vicino al confine con l’Ungheria, si trova Oradea, una città della valle del fiume Crisu Repede,considerata una “piccola Parigi” . Deve la nomea agli spettacolari edifici eretti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo,in stile Secessione. Allora tollerante e cosmopolita per la strategica posizione all’incrocio delle arterie commerciali tracciate tra Est e Ovest, sprigiona un’architettura nouveau ricca di decorazioni in stucco, in maiolica e in ferro battuto molto scenografica.
I suoi artefici provennero dalla scuola politecnica di Budapest e furono influenzati sia dallo stile romantico-ungherese di Odon Lechner (Komor Marcell, Dezso Jakab, Sztarill Ferenc) sia dal geometrismo spigoloso della scuola viennese (i fratelli Vago, Valer Mende) sia dal “Coup de fouet” dalle curve ondulate di chiare origini francesi.
Oradea è davvero unica tra le città cresciute nel periodo Belle Epoque e fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu un abbagliante parco-giochi per architetti potenti e abitanti facoltosi. La cittadina che oggi conta all’incirca 200.000 abitanti è stata distrutta nel 1836 da un’incendio e il suo aspetto, classico dell’Art Nouveau e dello stile architettonico austriaco con le facciate decorate di toni pastello, è dovuto all’accurata ricostruzione.Oggi ospita 77 edifici inseriti negli elenchi della Commissione Nazionale per i Monumenti Storici.
Oradea è stata per lungo tempo  residenza del Re di Ungheria Mattia Corvino e solamente nel dopoguerra è tornata a far parte della Romania; vanta un centro storico incantevole, uno dei primi edifici decorati e colorati nello spirito dell’Art Nouveau è il Palazzo Fuchsl, progettato dagli architetti di Budapest Bálint Zoltán Lajos e Jámbor negli anni 1902-1903. Gli stucchi, così come i ferri battuti dei balconi e delle porte richiamano sinuosi tralci di vite.
Il Black Hawk (1907-1908) è il più celebre edificio costruito da Marcell Komor e Dezso Jakob,è su quattro piani, due blocchi e un passaggio in vetro colorato che lo connette a tre strade distinte e la vetrata con l’aquila nera che aleggia nella galleria è diventata uno dei simboli della città. Di notevole interesse anche la  I e II, la casa Poynar, l’hotel Astoria, il Transylvania Hotel, il Palazzo Ulman, il Palazzo Stern, il Palazzo Moskovits e il Palazzo Apollo.
Da non perdere La Chiesa della Luna, o Biserica cu Luna, dotata di un orologio astronomico con le fasi della luna. Bellissimo è anche il Palazzo del Vescovo,completato nel 1770, a forma di U presenta 3 piani, 100 camere affrescate, 365 finestre e una facciata con capitelli ionici. Il palazzo è oggi sede del Museo della Regione Crisana.
La spettacolare fortezza di Oradea, la Cetatea Stelara, con i suoi 5 bastioni è un’altra attrazione storica della città,costruita con pianta a forma di stella da architetti italiani a cavallo tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600 sul sito di un’antica fortificazione,attualmente ospita numerose mostre d’arte e fiere dell’artigianato. Infine da visitare assolutamente è la Cattedrale Romano Gotica il più grande edificio sacro barocco di tutta la  Romania, con una cupola di 24 m e torri laterali alte 61 m, costruito su progetto di Giovanni Battista Ricca (1691 -1757 ).

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Palatul Apollo

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Palatul Poynar

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Vetrata del Black Hawk a Oradea (foto Battaglini)

Vetrata del Black Hawk a Oradea (foto Battaglini) @LaStampa.it

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Vetrata in stile Liberty a Oradea (foto Battaglini)

Vetrata in stile Liberty Secessione a Oradea (foto Battaglini) @LaStampa.it

Veduta aerea della città

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(Tutte le fonti sono attinte dal web)

Silente s.o.s.

Premessa:
E’ frequente vedere nelle immagini in rete e anche nella realtà delle nostre città architetture fatiscenti che mostrano ancora la loro originale importanza strutturale sebbene fortemente intaccata.Spesso sono ubicate anche in centro città o comunque in luoghi ove è un vero peccato vederle sfiorire accanto a costruzioni nuove ma sicuramente meno ricercate e ricche da un punto di vista architettonico. E allora nasce spontanea una domanda,perchè lasciarle abbandonate al loro triste destino quando le si potrebbe ancora salvare?
L’ immagine che allego sotto è solo un’esempio di quanto ceduto alla corrosione del tempo.

Segni del tempo
e dell’incuria
ormai devastano
il nobile volto
vetri infranti
parti sgretolate
dissestate
fan di bellezza
un’eco lontana
di decadenza
palese sintomo
ma occhi esperti
riescono ancora
a comprendere
la gloria perduta
del mio apetto…
chissà se saranno
sì generosi
da restituirmela.

Daniela,2016

Palazzo abbandonato a Guzow, Polonia.

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La reggia delle meraviglie

Ieri ho trascorso gran parte della giornata a Venaria Reale per visitare due grandi mostre. Una fotografica dell’ormai arcinoto Steve McCurry, apprezzato fotoreporter testimone di guerra e autore di scatti superlativi alcuni dei quali son diventati delle vere e proprie icone della fotografia. Circa 250 scatti tra bianco e nero e colore che riescono a trasmettere un pathos incredibile e a lasciare tracce indelebili nell’animo dell’osservatore.
Quella che più mi ha colpita la lascio a testimonianza qui sotto,ma assicuro che non è la sola a far raggelare il sangue.

Immagine di Steve McCurry

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L’altra mostra interessante è quella su Brueghel e i pittori fiamminghi con disegni e capolavori paesaggistici e nature morte di straordinaria bellezza per colori e minuziosi dettagli che arrivano a stupire anche in tele di piccole dimensioni che in poco si differenziano dalle miniature. Sono presenti fantastiche tele non solo di Brueghel padre e figli,ma anche di Hyeronimus Bosch,  Marten van Cleve ,Sebastian Vrancx ecc..
Pieter Brueghel il vecchio amava inserre nelle opere messaggi simbolici ,così ad esempio nell’opera “I proverbi fiamminghi”  rappresenta l’ipocrisia e la stoltezza del comportamento umano, ispirandosi agli “Adagia” di Erasmo Da Rotterdam (enorme raccolta di proverbi e aforismi). Il dipinto in questione è assai curioso in quanto pare rappresenti più di 100 tra modi di dire e proverbi attraverso scene interpretate da animali e personaggi indaffarati in varie attività.

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Pieter Brueghel,”I proverbi fiamminghi”

All’esterno della Reggia son collocate anche delle importanti sculture moderne di grande impatto visivo ,dunque altre incredibili emozioni le ho provate di fronte alla “Spirale aperta” di Arnaldo Pomodoro, alla splendida “Tebe seduta” di Giacomo Manzù, all’Estate di Francesco Messina e dulcis in fundo la mia preferita “La nascita di Venere”di Igor Mitoraj. Cito appunto quest’ultimo bravissimo artista prematuramente scomparso in questa sua condivsibile affermazione :
“In generale, deploro che l’architettura non integri nella sua elaborazione l’opera d’arte, che si aggiunge molto spesso a seconda delle risorse a disposizione e al di fuori di ogni considerazione estetica.”

Arnaldo Pomodoro “Spirale aperta” (foto personale)

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Tre immagini da diverse prospettive di “Tebe seduta” di Giacomo Manzù (foto personali)

In basso: “Estate”di Francesco Messina (foto personale)

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sotto: la splendida “Nascita di Venere” di Igor Mitoraj (foto personale)

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Inutile aggiungere che faceva da splendida cornice la Reggia stessa coi suoi giardini in cui sono collocate anche le sculture di Giuseppe Penone,ma non vi racconto tutto, lascio a voi le sorprese se avrete il piacere di visitarla. 🙂

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