La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità. ( Albert Einstein )
Il personaggio di punta del film di Neil Burger,interpretato da un bravo Ed Norton, è maestro d’illusionismo e magia, fino a toccare la necromanzia . The Illusionist è una bella storia, in cui il protagonista Edward Abramowitz, col nome d’arte Eisenheim , durante un suo spettacolo ritrova la ragazza che ha amato, Sophie ( interpretata da Jessica Biel) nobildonna, promessa sposa del Principe Leopoldo d’Austria in procinto di complotto ai danni del vecchio sovrano . Non spoilero altro della trama, aggiungo soltanto che tutto si svolge intorno a un’atmosfera magica e coinvolgente dove nulla è mai ciò che sembra, compresi i luoghi del set. Il film del 2006, è ambientato in Austria, ma è stato girato principalmente nella Repubblica Ceca. La città di Vienna è rappresentata nel film da Tábor e Praga, mentre le scene ambientate nel villaggio durante l’infanzia di Eisenheim sono state girate a Český Krumlov. Il castello del principe ereditario è in realtà lo storico castello di Konopiště (che si trova nei pressi di Benešov), dimora dell’arciduca Francesco Ferdinando. La sceneggiatura è liberamente ispirata a “Eisenheim, l’Illusionista”, un racconto breve di Steven Millhauser tratto dal libro “Il museo Barnum”. Tra i vari riconoscimenti ricevuti il film vanta un premio per la migliore colonna sonora 2006, firmata da Philip Glass. In tutta naturalezza, il film mostra che la realtà è più mistificante dell’illusione.
“La commedia non è solo talento, ma è soprattutto un dono, un modo di sentire, di saper capire e interpretare” (Louis De Funes)
dal film I Tartassati
I ricordi dei film con Louis De Funes risalgono alla tarda infanzia visti dal televisore ancora in bianco e nero. Un interprete straordinario e simpatico con quel viso buffo con gli occhi a volte strabuzzati e l’espressione furbetta, la sua mimica , i tic, la gestualità frenetica, i cambiamenti improvvisi d’umore, la recitazione serrata fuori dagli schemi. Conosciuto in tutta Europa, considerato uno dei grandi del cinema francese di ogni tempo, è tuttora amato da un pubblico eterogeneo senza distinzione di età.
Louis Germain David de Funès de Galarza nacque il 31 luglio 1914 a Courbevoie, in Francia. Suo padre, di nome Carlos Luis de Funes de Galarza era un ex avvocato di Siviglia di nobili origini. Sua madre, di nome Leonor Soto Reguera, era di origine spagnola e portoghese. Il giovane Louis aveva carattere irrequieto e iniziò molto presto a mantenersi da solo, guadagnandosi da vivere con piccole occupazioni occasionali, dalle quali peraltro veniva spesso allontanato proprio per il suo carattere particolarmente vivace. All’approssimarsi della seconda guerra mondiale venne riformato dal servizio militare molto probabilmente per la sua altezza (1,64) In quegli anni riuscì a trovare lavoro in cabaret e music-hall come pianista jazz e intrattenitore. Fu proprio in quelle occasioni che iniziò a mettere in mostra il suo talento di comico, divertendo i clienti dei locali con le sue esibizioni musicali intervallate da smorfie. Fu anche iscritto per un anno ad un corso di recitazione curato da Renè Simon, ma a causa della sua dizione più adatta ad un caratterista che ad un attore impegnato, venne cacciato dalla scuola. Durante l’occupazione di Parigi nella seconda guerra mondiale ha continuato i suoi studi di pianoforte in una scuola di musica, dove si innamorò di una segretaria, di nome Jeanne de Maupassant, pronipote dello scrittore Guy de Maupassant . Lei si era innamorata “del giovane che suonava il jazz come un dio”; si sono sposati nel 1943 e hanno avuto due figli. Funès ha continuato a suonare il piano nei club, convinto che non ci fosse bisogno di un attore basso, calvo e magro ma sua moglie e Daniel Gelin lo hanno incoraggiato fino a quando non è riuscito a superare il suo rifiuto. Ha debuttato nel cinema nel 1945, all’età di 31 anni, e nei vent’anni successivi ha interpretato un centinaio di ruoli. A iniziare la carriera di attore fu una comparsata nel film “La tentation de Barbizon” e da lì in avanti, fino ai primi anni ‘50, alternò cinema, teatro, e doppiaggio (prestava la voce alle versioni francesi dei film di Totò). Nel film Ah! Les belles bacchantes” del 1954 riuscì finalmente ad esprimere per la prima volta tutte le sue potenzialità comiche e quei tratti caratteriali fatti di mimica e gestualità che saranno la caratteristica del De Funes maturo e famoso. Seguono La traversata di Parigi del 1956, Una ragazza a Saint Tropez e il Fantomas 70 entrambi del 1964. “Io, due figlie, tre valigie” del 1967 e una sequenza di altre pellicole fortunate.
Con Totò nel film Totò, Eva e il pennello proibito (1959)
Ha anche alternato la recitazione in lavori del teatro classico francese. Funès è stato determinante nel realizzare adattamenti cinematografici di spettacoli teatrali come “Oscar continua” e il Molière ‘s’ The Miser ‘, tra le altre commedie.
da Hibernatus
Soprannominato “l’uomo dalle quaranta facce al minuto”, Louis de Funès ha interpretato parti in più di ottanta film, prima di ottenere i suoi primi ruoli da protagonista, diventando il comico francese più popolare. Ha recitato con i maggiori attori francesi dell’epoca, incluso Jean Marais e Mylène Demongeot nella trilogia di Fantomas, e anche Jean Gabin , Fernandel , Bourvil , Coluche , Annie Girardot e Yves Montand . Ha anche lavorato con Jean Girault nella famosa serie “Gendarmi”. In una deviazione dall’immagine di gendarme, Funès ha collaborato con Claude Zidi che ha scritto per lui un nuovo personaggio pieno di sfumature interprete di “L’ala o la coscia? ” del 1976, che è probabilmente il migliore dei suoi ruoli. La sua voce è stata doppiata da diversi attori italiani tra cui Stefano Sibaldi, Carlo Romano, Oreste Lionello, Elio Pandolfi.
la rosa Louis De Funes
Louis de Funès era un appassionato coltivatore di rose, e una varietà è stata chiamata in suo onore “rosa Louis de Funès”. Morì di infarto e complicazioni di un ictus il 27 gennaio 1983 a Nantes, in Francia. Fu sepolto nella Cimetière du Cellier e un suo monumento fu eretto nel roseto del castello di sua moglie.
esiste anche il Museo Louis de Funès in rue Jules Barbier – 83700 Saint-Raphaël, un comune della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Di seguito qualche estratto video per ricordarne la bravura.
La storia narra di Cesar, giovane e ricco erede di un proprietario di una catena di ristorazione, amato dalle donne e narciso in maniera ossessiva. Nel giorno del suo venticinquesimo compleanno s’invaghisce di Sofia, ragazza affascinante appena conosciuta e “rubata” come di consueto al suo migliore amico. Cesar, però, ha già una fidanzata che non tarderà a vendicarsi: alla guida di un’auto, si getta in un precipizio con lui come passeggero. La ragazza muore, mentre Cesar resta tremendamente sfigurato. La suspance, l’intricata matassa parte da qui e si sviluppa fino al termine del film che ovviamente non anticipo. È il secondo lungometraggio del cileno Alejandro Amenábar, e si può considerare un melodramma onirico, che alterna registri sentimentali ad altri fantascientifici; l’andamento drammaturgico è coinvolgente, a tratti magnetico, una pellicola che non si fa dimenticare facilmente. Il film, all’uscita, fu campione d’incassi in Spagna infatti fu l’unico a non farsi surclassare da Titanic. Dopo quattro anni Hollywood ne ha fatto il remake dal titolo “Vanilla Sky”, con Tom Cruise e sempre con Penelope Cruz nello stesso ruolo. La trama complessa a causa dei continui cambi sul piano narrativo è un vero e proprio studio dell’amore nel subconscio che si addentra in metafore a tratti pirandelliane. Un cast di tutto rispetto con Eduardo Noriega, Penelope Cruz, Fele Martinez, Gerard Barray, Najwa Nimri Urrutikoetxea Un film drammatico e intenso che deve essere assolutamente recuperato; avevo visto il remake tempo fa ed è stato un caso fortunato capitare sull’originale che ho trovato più coinvolgente.
Tengo a precisare che questa non è una recensione ma una considerazione personale
su un film visto di recente: Un castello in Italia, film del 2013, di e con Valeria Bruni Tedeschi. Un titolo che potrebbe andare bene per un documentario storico e che fa venire in mente la filastrocca “Ma che bel castello marcondirondirondello…”
ma anche no, visto che il film racconta la storia di una famiglia aristocratica finanziariamente decaduta, in cui ogni personaggio soffre dei propri fantasmi e dolori e urla i propri sogni irrealizzati. Un film che scava dentro ogni animo, una miscellanea di eccentricità e sofferenza offre momenti di sorriso e di profonta tristezza, si delineano bene i tratti dei protagonisti, così diversi ma legati da una forte appartenenza. Un ritratto forte e ironico che non fa giudicare ma pensare che la vita può mutare rapidamente per chiunque.
Un bravo particolare va a Filippo Timi, attore da me molto amato, versatile che dà lustro a ogni interpretazione; l’apparizione da astro perenne di Omar Sharif, muto, nei panni di se stesso è un tocco di tenerezza. Se vi capita buona visione.
Finalmente sta per tornare la grande arte al cinema a partire dalla seconda metà di Settembre. La nota casa di produzione Nexo Digital ha appena reso noto che il 21 di Settembre verrà proiettato sui grandi schermi il primo appuntamento dei sei previsti nei mesi che seguiranno. La stagione verrà inaugurata il 21, 22 e […]
A parte eccezioni non amo molto le serie tv perchè richiedono costanza nel seguirle e nel caso si perda qualche puntata si disgrega l’interezza della storia. Ma ieri leggendo su un settimanale la breve recensione di Upload, serie tv presente su Prime Video mi sono incuriosita, così la sera ho deciso di guardare il primo episodio per rendermi conto di come era impostata la serie. Mi ha letteralmente calamitata così mi sono divorata uno dietro l’altro i dieci episodi; la serie, alla prima stagione, narra di un futuro in cui gli esseri umani sono in grado di uploadare la propria coscienza al momento della morte fisica in un aldilà digitale, scelto ad hoc in base ai propri gusti e disponibilità economiche per ottenerlo e conservarlo. Assistenti umani incaricati di seguire e guidare inizialmente la nuova vita eterna di ogni singolo individuo (un vero business che ricorda quello delle attuali residenze per anziani) diventano degli angeli che mediano tra vita terrena ed eternità virtuale. Uno sguardo divertente e al tempo stesso inquietante su come potrebbe essere un futuro ancora più tecnologico in cui la sfera umana oltrepassa i confini sinora sconosciuti. Non aggiungo altro se non una scheda, per chi volesse approfondire la trovate qui: https://www.comingsoon.it/serietv/upload/3145/scheda/ e il trailer originale con l’augurio di una buona visione nel caso in cui vi nasca la curiosità.
Giusto per iniziare a visionare la lista di film che mi son persa negli ultimi anni, oggi ho iniziato da Oro – La Città Perduta, un film del 2017 di Agustín Díaz Yanes, basato su una storia scritta da Arturo Pérez-Reverte, che mi ha condotta nella giungla amazzonica del 1500, dove un gruppo di soldati spagnoli si avventurano verso una leggendaria città che si racconta essere costruita con l’oro ; scenari naturali favolosi e per filo conduttore la bassezza estrema dell’essere umano capace di combattere nemici esterni e interni al proprio gruppo. L’obiettivo è arricchirsi a qualunque costo, tutti come Caino, pronti a sopprimere ogni rivale a sangue freddo. Un’avventura che mantiene alta l’attenzione e la suspence per tutta la durata.
Qui il trailer in lingua originale: https://www.mymovies.it/film/2017/oro/trailer/
Quando il cinema era muto,pioniere di se stesso,la fotografia era l’impalcatura di una trama raccontata da primi piani a tempi lunghi, da sguardi languidi,infuocati, maliziosi,impauriti,da gestualità volutamente enfatizzate a marcare ora il dramma ora la comicità.
Una teatralità in cui anche il corpo aveva il suo preciso ruolo nel linguaggio. Oltre all’assenza di sonoro,non c’erano effetti speciali e tutto era ancora a dimensione e a bravura umana,senza l’apporto di eleaborazioni computerizzate,anzi molto spesso con ben pochi mezzi sia per mancanza di strutture che di grandi somme di denaro destinate alle riprese.
Con mimica sorprendente attori e attrici, ancora poco divi ma con un carisma magnetico e una bellezza genuina, narravano storie senza voce destinate a quel tempo solo a una elite di persone.
Erano gli albori di quello che sarebbe poi diventato nei decenni a venire il cinema dei nostri giorni.
La qualità dei corto-lungometraggi dell’epoca che talvolta mi capita di vedere mi affascina enormemente,e le immagini di alcuni artisti la cui gloria è aumentata in alcuni casi solo dopo la loro scomparsa, esercitano una particolare attrattiva per quell’alone di sensualità eleganza e fascino che portano con sè.Ne è un’esempio quella scattata a Pola Negri dal fotografo Edward Steichen.
Babajaga,2015
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