pasquinata moderna

la pasquinata era una satira in versi e in prosa contro i papi e la Curia o contro persone o costumi da biasimare, scritte prima in latino, poi in italiano o in romanesco che dal 1500 e sino alla fine del potere temporale dei papi venivano appese al torso di Pasquino, che divenne così il grande divulgatore della satira politica, dotta e popolaresca, sia impersonale sia messa in bocca allo stesso Pasquino. Eccone una moderna tratta dalla pagina twitter di soppressatira. Riusciamo ancora a riderci su ?

 Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo. Oggi si trova su un lato di Palazzo Braschi a Roma, vicino a Piazza Navona

Giorgio Gaber, Una nuova coscienza

Io come uomo, io vedo il mondo
Come un deserto di antiche rovine.
Io vedo un uomo che tocca il fondo
Ma forse al peggio non c’è mai una fine.

Nel frattempo la vita non si arrende
E la gente si dà un gran da fare
Tanti impegni tante storie
Con l’inutile idea di colmare
La mancanza di una nuova coscienza,
Di una vera coscienza.

E’ come se dovessimo riempire, un vuoto profondo. E allora ci mettiamo dentro rimasugli di cattolicesimo, pezzetti di sociale, brandelli di antichi ideali, un po’ di antirazzismo, e qualche alberello qua e là.

La decadenza che viviamo
è un malessere
Che ci prende pian piano.

E’ una specie di assenza
Che prevede una sosta obbligata,
è la storia che medita ma si è come assopita.

Siamo vivi malgrado la nostra apparenza
Come uomini al minimo storico di coscienza.
Come uomini al minimo storico di coscienza.

E’ come se la vecchia morale non ci bastasse più. In compenso se ne sta diffondendo una nuova, che consiste nel prendere in considerazione più che altro i doveri degli altri… verso di noi. Sembrerà strano, ma sta diventando fortemente morale tutto ciò che ci conviene. Praticamente un affare.

La decadenza che subiamo
è uno scivolo
Che va giù piano piano.

E’ una nuova esperienza
Che ti toglie qualsiasi entusiasmo
E alla lunga modifica il tuo metabolismo.

Siam qui fermi
Malgrado la grave emergenza,
Come uomini al minimo storico di coscienza.
Come uomini al minimo storico di coscienza.

E pensare che basterebbe pochissimo. Basterebbe spostare a stacco la nostra angolazione visiva, guardare le cose come fosse la prima volta. Lasciare fuori campo tutto il conformismo di cui è permeata la nostra esistenza. Dubitare delle risposte già pronte. Dubitare dei nostri pensieri fermi, sicuri, inamovibili. Dubitare delle nostre convinzioni presuntuose e saccenti. Basterebbe smettere una volta per tutte di sentirsi sempre delle brave persone. Smettere di sentirsi vittime delle madri, dei padri, dei figli, mariti, mogli… quando forse siamo vittime soltanto della mancanza di potere su noi stessi. Basterebbe smascherare, smascherare tutto. Smascherare l’amore, il riso, il pianto, il cuore, il cervello. Smascherare la nostra falsa coscienza individuale. Subito. Qui e ora.
Sì basterebbe pochissimo. Non è poi così difficile. Basterebbe smettere di piagnucolare, criticare, affermare, fare il tifo, e leggere i giornali. Essere certi solo di ciò che noi viviamo direttamente. Rendersi conto che anche l’uomo più mediocre diventa geniale se guarda il mondo con i suoi occhi. Basterebbe smascherare qualsiasi falsa partecipazione. Smettere di credere che l’unico obiettivo non può essere il miglioramento delle nostre condizioni economiche, perché la vera posta in gioco è la nostra vita. Basterebbe smettere di sentirsi vittime del denaro, del destino, del lavoro, e persino della politica, perché anche i cattivi governi sono la conseguenza della stupidità degli uomini. Basterebbe rifiutare, rifiutare l’idea di calpestare gli altri, ma anche la finta uguaglianza. Smascherare le nostre presunte sicurezze. Smascherare la nostra falsa coscienza sociale. Subito. Qui e ora.
Basterebbe pochissimo. Basterebbe capire che un uomo non può essere veramente vitale se non si sente parte di qualche cosa. Basterebbe smettere di credere di poter salvare il mondo con l’illusione della cosiddetta solidarietà. Rendersi conto che la crescita del mercato può anche essere indispensabile alla nostra sopravvivenza, ma che la sua inarrestabile espansione ci rende sempre più egoisti, e più volgari.
Basterebbe abbandonare l’idea di qualsiasi facile soluzione, ma abbandonare anche il nostro appassionato pessimismo e trovare finalmente l’audacia di frequentare il futuro con gioia.
Perché la spinta utopistica non è mai accorata o piangente. La spinta utopistica non ha memoria e non si cura di dolorose attese. La spinta utopistica è… Subito. Qui e ora.

Io come uomo, io vedo il mondo
Come un deserto di antiche rovine.
Io vedo un uomo che tocca il fondo,
Ma forse al peggio non c’è mai una fine.

Perché non c’è nessuno che dia un senso
Alle cose più semplici e vere,
Alla vita di ogni giorno,
All’urgenza di un uomo migliore.

Io vedo un uomo solo e smarrito,
Come accecato da false paure,
Ma la vita non muore nelle guerre,
Nelle acque inquinate del mare

E i timori, anche giusti,
Son pretesti per non affrontare.
La mancanza di una vera coscienza
Che è la sola ragione
Della fine di qualsiasi civiltà.

Autori: Alessandro Luporini / Giorgio Gaberscik

la piccola spoon river piemontese

Durante la lettura del libro illustrato ” Luoghi sacri abbandonati in Piemonte” di Gian Vittorio Avondo, Edizioni del Capricorno, 2022 mi ha colpito tra gli altri un luogo che credo andrò a visitare di persona, magari nella prossima primavera.

Si tratta di un cimitero, e precisamente quello di Fiorano Canavese. Di norma si conosce l’antichità sulla base delle tombe e degli oggetti che vi furono collocati e tanto più è remota la storia, tanto più sono importanti dal punto di vista documentario questi reperti. Le civiltà, sovrapponendosi le une alle altre hanno cancellato le tracce dei loro predecessori, tuttavia si sono conservati più o meno a vista i luoghi di sepoltura. Se nei cimiteri monumentali, come quello di Torino e Oropa ( Biella), le cappelle di famiglia emergono isolate e distanti le une dalle altre, nei cimiteri rurali sono collocate una accanto all’altra come cortine edilizie.

foto del camposanto di Fiorano prese in rete

L’antico camposanto a cielo aperto di Fiorano Canavese, in provincia di Torino, è una bellezza pacata e riservata pervasa da un’aura romantica, più collegabile all’ Inghilterra che non all’Italia. Venne scelto questo luogo di sepoltura dopo che l’editto napoleonico del 1804 stabiliva per legge che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali evitando discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, c’era una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica. La gestione dei cimiteri esistenti veniva ovunque definitivamente assegnata alla pubblica amministrazione in tutti i luoghi dove fu esteso, e non più alla Chiesa. Fu inoltre vietata, salvo eccezioni, la sepoltura in luoghi cittadini e all’interno delle chiese. Le prime inumazioni nel cimitero di Fiorano avvennero a opera non ancora completata nel 1834 in seguito a una morìa improvvisa di 42 persone che non potevano essere sepolte altrove. Il Fiorentino è un grande affioramento roccioso che sovrasta imponente il paese di Fiorano ed è un luogo di grande valore non solo in termini paesaggistici, ma anche naturalistici e storici. Da lì si godono panorami bellissimi come quello dal belvedere di fronte alla chiesa di San Grato, o quello, a sfondo del cimitero che, oltre allo spettacolo verde di gaggie e bossi, inquadra, nel silenzio dei campi e delle vigne, Cavallaria, Mombarone e l’abbraccio morenico della Serra.
Funzionò fino al 1932, anno in cui le esumazioni furono spostate nel nuovo cimitero; da quella data cadde dopo pochi anni in una condizione di abbandono e nel 1994 fu anche oggetto di vandalismo da parte di profanatori di tombe.

Per fortuna, nel 2003, grazie ad un progetto di Regione Piemonte e Comunità europea, sono stati eseguiti lavori di restauro conservativo che hanno permesso di salvaguardarlo rendendolo un piccolo museo a cielo aperto. E anche graie alla studiosa Maria Paola Capra che nel 2005 accese i riflettori con il suo splendido libro “Fiorano dalla collina di Fiorentino” ricostruendo attraverso gli epitaffi, le lapidi e le fotografie che si sono conservate, le antiche storie fioranesi hanno creato una sorta di Spoon River canavesana. Grazie a questo grande lavoro di ricerca appassionata dell’autrice, anche il canavese ricorda una variegata galleria di suoi personaggi dai vari mestieri, dal contadino, al prete, al muratore, al commerciante di bestiame ma anche storie di donne morte di parto, di bimbi annegati in Dora, dei tanti morti per le epidemie di spagnola e di colera.

Tra le lapidi spicca il monumento a Camillo Mola di Larissè che si spense quindicenne a Torino, il 23 ottobre 1900, e, per sua volontà, fu sepolto a Fiorano. Lo accolse la tomba di famiglia collocata contro il muro di cinta, proprio di fronte all’ingresso, secondo la consuetudine che riservava ai nobili e alle famiglie più in vista anche la parte migliore dei cimiteri. “Caro a quanti lo conobbero ritornò alla diletta terra. Ave desideratissimo. Te rivedremo in quel regno che eterno dura”, reca scritto l’epitaffio inciso sul monumento funebre, un breve obelisco culminante con la rappresentazione di una moderna pietà in cui il viso della madre è chino su quello del figlio che mestamente e delicatamente sorregge.
Fu lo scultore Cesare Felice Biscarra, amico di famiglia, che immortalò nei visi del gruppo scultoreo proprio i tratti di Camillo e della mamma dolente, la contessa Laura Pelletta di Cortazzone, “provvidenza dei poveri e degli ammalati di Fiorano”, che lo raggiunse il 3 luglio 1903. Ancora oggi, nel silenzio della collina, oltre l’erba alta e le sterpaglie, madre e figlio spiccano commoventi nella bellezza eterna di un dolore che ha finalmente trovato pace.

l’articolo di Massimo Fini del 23 /10/22

Io non amo Zelensky: e allora?

Non mi piace Zelensky, come, credo, a molti italiani che però non osano aprir bocca perché in questo frangente è sufficiente leggere Dostoevskij per essere sbattuti nel girone dei “filo putiniani”. Non amare Zelensky non significa essere pro Putin. Diceva Talleyrand: “Preferisco i delinquenti ai cretini, perché i primi ogni tanto si riposano”. Putin è riuscito ad essere l’uno e l’altro. Delinquente per l’aggressione all’Ucraina, che peraltro segue molte aggressioni occidentali condotte con pari violenza (Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia – dai 650 ai 750 mila morti solo in Iraq) cui va aggiunta l’aggressione della stessa Ucraina, a partire dal 2014, ai russi del Donbass con una ferocia non dissimile, anche se su un raggio più limitato e con mezzi meno potenti, da quella che mostra Putin, da parte non solo dei nazisti di Azovstal’ ma del regolare esercito ucraino. Delinquente per gli assassinii degli oppositori, metodo di cui il presidente russo fa un uso sistematico. Cretino perché è riuscito a ricompattare la Nato che di fatto non esisteva quasi più, Macron l’aveva definita “uno spettro” e lo stesso Trump “inutile”.

Io potrei essere considerato fazioso perché sono russo per parte di madre, Zinaide Tobiasz, ebrea come si evince dal nome,  e più invecchio più mi sento russo e meno italiano per quel “mondo di mezzo” che partendo da Roma ha invaso quasi l’intero Paese, ma, come si vede, a Putin non sconto nulla. Da qui sino alla fine dell’articolo parlerò quindi da russo.

Non mi piace Zelensky perché irride e umilia i nostri soldati definendoli “vigliacchi”. È certo che i ragazzi mandati con la forza al fronte da Putin siano totalmente demotivati. Però si deve ricordare che durante la seconda guerra mondiale abbiamo lasciato sul campo 20 milioni di morti per sconfiggere il nazismo (fra le vittime c’era l’intera mia famiglia materna, la sorella di mia madre, Anja, la madre di mia madre, tutti gli zii, i cugini, i nipoti). Che parte abbiano avuto gli ucraini  in quella tragica epopea che fu il secondo conflitto mondiale non so.

La guerra non l’hanno vinta solo gli americani ma anche gli inglesi, soprattutto gli inglesi, e i russi, contadini e kulaki, che difesero la propria terra con le unghie e con i denti, a maggior gloria di Stalin che li aveva sterminati a milioni.

Zelensky vuole “armi, armi e ancora armi” e ricatta i Paesi europei. È lui a stabilire l’agenda politica dell’Unione Europea. Per la verità l’Ue non ha nessun obbligo nei confronti dell’Ucraina che non fa parte né dell’Unione Europea né della Nato. L’errore degli americani è stato quello di stringere una corda al collo della Russia circondandola di paesi Nato o filo Nato. Ed è pericoloso mettere il nemico con le spalle al muro. Questo vale in tutti gli ambiti della vita. Per esempio nel pugilato, dove il più forte non si accontenta di un k.o. tecnico ma vuole il k.o. tout court e l’avversario, spinto dalla disperazione, scaglia il cosiddetto “colpo della domenica” e manda al tappeto quello che sembrava il sicuro vincitore.

Zelensky ha disposto per decreto legge che non si può fare alcuna pace con la Russia di Putin (Putin sembra, dico sembra, un po’ più possibilista). Evidentemente pensa, come pensano quasi tutti gli occidentali, che Putin sarà disarcionato dall’opposizione interna. Ma si sbaglia e si sbagliano. La Russia profonda, quella delle campagne, che noi chiamiamo “moscoia”, che conta all’incirca 40 milioni di abitanti, sta con Putin perché ha ridato dignità a un grande Paese che con Gorbaciov si era ridotto a fare il servo degli Stati Uniti (“Distruggi un Impero e andrai a San Remo”).

Nonostante l’omologazione portata dalla tecnologia e dall’adeguamento ai costumi e, possibilmente, ai consumi occidentali, il popolo russo esiste ancora con le sue grandi contraddizioni, sentimentale e crudele, generoso e avido, ospitale e infido, orgoglioso e servile, violento e masochista, scialacquatore, malinconico, fatalista, indolente, sognatore, bugiardo e comunque in ogni cosa eccessivo. Ma una cosa il popolo russo (parlo del popolo non delle ‘élite’) non ha: il cinismo roman andreottiano.

Dal punto di vista culturale l’Ucraina ha dato poco all’Europa. C’è Gogol’ (Le anime morte), ma Gogol’ ha potuto essere tale solo all’interno della grande letteratura russa fondata, per così dire, da Puskin, purtroppo intraducibile in italiano come mi diceva mia madre, è come tradurre Dante in un’altra lingua, che diede l’abbrivio a Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Cechov (Il gabbiano, tra i molti altri).

Negli ultimi tempi gli Stati Uniti hanno dato segni di insofferenza per il protagonismo di Zelensky e soprattutto per alcune gravi iniziative prese in terra ucraina e anche russa senza preavvertire gli americani che pur hanno fornito all’Ucraina quasi 10 miliardi di aiuti in termini di armi.

Se perde il sostegno degli Stati Uniti in questa guerra, che poi in realtà è una guerra tra America e Russia, Zelensky è finito. Tornerà ad essere insignificante. Come l’Ucraina.

da Il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2022

“Come l’inizio di una canzone, che ne impari al volo la musica e più tardi le parole”

[…]

“Ascolta i miei ronzii di dentro, non reagisco, non ho una sola frase da tenerle segreta. E poi dev’essere ben scomodo ascoltare i pensieri, riempirsi del chiasso degli altri anche quando stanno zitti. È ben duro sapere che uno, mentre gli stai parlando, pensa ad altro. Il mare è viola come il fiore del rosmarino, il vento dell’ultimo sole sbatte i capelli di Laila sulla mia fronte. È così che ti pigli i miei pensieri, coi capelli? No, dice, è un’abilità animale, un resto di cervello di serpente, di pesce, di rondine, o almeno questo immagina circa la sua dote. Però sente solo i pensieri vicinissimi. Non mi spaventa questo? Niente mi spaventa in questo amore.
Mi abbraccia il braccio e dice: “Mi fai scordare chi sono”.
No, te lo faccio sapere meglio, sei la donna con cui sto in amore. Non c’è titolo tuo più sicuro di questo, per me.”

[…]

“E gli uccelli che volano sopra: ognuno sta solo e senza
alleanza con l’altro. Loro famiglia è l’aria, non le ali degli altri
e ogni uovo deposto è solitudine. E io faccio al buio di brace
una frittata di solitudini e mi sfamo.
E quando mi piglia di sentire che il mio tempo è poco, penso
a quello che sta scorrendo intanto nel molto del mondo e passa
accanto al mio: sono alberi che stanno scrollando pollini,
donne che aspettano una rottura delle acque, un ragazzo che
studia un verso di Dante, mille campanelle delle ricreazioni
che stanno suonando in ogni scuola del mondo, un vino che
ribolle di travaso e tutto sta avvenendo insieme a me e così il
mio tempo si allea con il loro per diventare molto.
Pensieri d’oltrevita Laila, so che li stai ascoltando.”

Erri De Luca– da “Tre cavalli“, 1999, Feltrinelli

diversi pesi e misure per i diritti umani

Non è certo una novità ma è giusto ribadire e ricordare che l’informazione è sempre e solo di parte e che ipocrisia e cecità sono sempre in agguato quando si tratta di eludere i soprusi e le atrocità compiute sui più deboli del globo terracqueo.

I poteri che contano pronti a soccorrere con tonnellate di armi l’Ucraina a costo di una terza guerra mondiale, di fatto imbastita da tempo, e pochissimo interesse per le tante tribù indigene, soppresse, ridimensionate, sfrattate dalle loro terre per il lucro di affaristi senza scrupoli. Vogliamo parlare ad esempio dei Masai che il governo della Tanzania sta letteralmente massacrando? o non fa notizia? perchè mai non sollevare indignazione e aiuto nei loro confronti? Ci sono popoli di serie z per i quali si può soprassedere e fare spallucce? personalmente trovo vergognoso e ipocrita proseguire maratone televisive in favore del popolo ucraino e non spendere un’ora di programma tv per i popoli umani più deboli e dimenticati del resto del mondo. ( forse non farebbe audience…)

Riporto qui l’articolo di Valeria Casolaro sull’ Indipendente online del 13 giugno scorso che denuncia il vergognoso progetto per un turismo di elite e a una caccia da trofeo (!!!) per miliardari annoiati (!!!)

“Le autorità della Tanzania hanno dato il via ad una violenta repressione ai danni della popolazione Masai, finalizzata allo sfratto degli indigeni in favore dell’istituzione di una game reserve destinata alla caccia e al turismo d’élite. L’8 giugno scorso oltre 700 agenti delle forze dell’ordine tanzaniane si sono presentati nella riserva di Loliondo, dove vivono oltre 70 mila Masai, per intimarli ad abbandonare le terre. Il 10 giugno, a fronte della protesta pacifica messa in atto dalla popolazione, decisa a non abbandonare le proprie terre, gli agenti hanno aperto il fuoco e sparato contro la folla, ferendo oltre 30 individui e causando la morte di almeno una persona. Come spiega Fiore Longo, ricercatrice che si occupa delle aree protette dalle quali gli indigeni vengono sfrattati in nome della conservazione naturale, l’intensificarsi delle azioni repressive del governo di questi giorni potrebbe essere giustificata dall’imminente emissione di una sentenza della Corte di giustizia dell’Africa orientale (EACJ), che potrebbe stabilire che i Masai hanno diritto a rimanere in quelle terre in via definitiva.

«È dall’inizio del 2022 che il governo della Tanzania sta cercando di sfrattare queste popolazioni, a mio parere non è un caso che le azioni repressive si stiano intensificando a poche settimane dall’emissione della sentenza della EACJ» afferma Longo, «Per ora la Corte si è limitata a emettere un’ingiunzione che intima il governo a non sfrattare i Masai». Come spiega la ricercatrice, la Otterlo Business Company, compagnia di proprietà degli Emirati Arabi Uniti, sta esercitando enormi pressioni sul governo della Tanzania affinché costringa i Masai ad abbandonare la zona di Loliondo, un territorio di 1500 km quadrati, per permettere l’istituzione di una game reserve. «Quello che il governo della Tanzania sta cercando di fare è cambiare lo statuto legale della terra, facendola passare da un tipo di terra nella quale i Masai possono vivere a una game reserve, ovvero una zona nella quale non vivono esseri umani e dove non si può praticare la pastorizia – principale fonte di sostentamento dei Masai -, ma solo la caccia sportiva e la protezione della natura. Tuttavia questo non può essere fatto in una terra legalmente registrata dai Masai, cosa che la EACJ dovrebbe appunto stabilire a fine giugno. Dietro a questo tentativo di sfratto vi sono il turismo di massa e gli interessi economici».

Proprio nel nome di questi interessi, il governo ha messo in atto una violenta repressione ai danni delle popolazioni locali. «Il governo della Tanzania non lascia entrare nessuno in quella zona, i media locali sono stati banditi e i Masai sono stati minacciati di morte affinché fossero dissuasi dal pubblicare foto e video di quanto sta accadendo». Nonostante ciò, qualche immagine da Loliondo che mostra gli attacchi delle forze dell’ordine è riuscito comunque a trapelare.

«Le forze dell’ordine hanno anche iniziato ad arrestare i leader politici Maasai: almeno una decina sono stati portati in prigione, mentre altri sono stati detenuti ma non si sa dove siano. Hanno cominciato a cercare chi ha diffuso le foto e i video e a sparare nelle case» spiega Longo. «Proprio oggi mi hanno dato notizia che un migliaio di Masai almeno sono fuggiti dalle loro case e si stanno nascondendo nella boscaglia». Indipendentemente dai piani di reinsediamento -al momento inesistenti- del governo tanzaniano per le popolazioni di Loliondo, un elemento fondamentale da comprendere, spiega Longo, è che «i Masai non possono andare da nessun’altra parte: quella è la loro terra, lì hanno seppellito i loro antenati, hanno i loro siti sacri dove pregano aspettando la pioggia. I popoli indigeni nutrono un legame profondo, assoluto con la terra: queste persone si faranno sparare addosso, ma non la abbandoneranno. Molti Masai mi hanno detto ‘Questa diventerà una fossa comune, ma noi non ce ne andremo da qui». (fine articolo)

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Dovremmo meditare molto di più su come gira il mondo, sintonizzandoci su una informazione meno incanalata e più libera, per me il sorriso di questa ragazza masai ha la stessa bellezza e lo stesso motivo di continuare ad essere vivo nella sua terra tra la sua gente come quello di qualsiasi altro essere umano. Oggi una buona e lunga vita la auguro a lei e alla sua tribù di appartenenza.

vi invito all’Invito

Una mostra in corso su Pompei, che ho visitato, ripercorre la tragedia attraverso parte del patrimonio venuto alla luce nella città colpita dalla gigantesca eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Pompei, ma anche Stabiae, Ercolano, Oplontis, sono state sepolte sotto uno strato di dieci metri di lava per essere ritrovate soltanto a partire dal diciottesimo secolo con lavori di scavo avvenuti a più riprese. A Palazzo Madama , a Torino, nella sontuosa Sala del Senato, alla mostra “Invito a Pompei” sono esposti 130 oggetti che permettono di entrare nell’atmosfera delle case più lussuose in cui vivevano i benestanti di Pompei; quasi ad accoglierci il Ninfeo, stupendo esempio di mosaico a tessere di vetro e conchiglie, proveniente dalla Casa del Bracciale d’Oro, erme bifronti rappresentanti satiri e Bacco, bocche di fontana a maschera, un triclinio, vasi e oggetti di arredamento e di uso personale, gioielli di ottima fattura e di disegno ancor oggi moderno, affreschi, statue e anche tre calchi delle vittime.

foto personale
foto personale
il ninfeo, foto personale
foto personale
foto personale
oggettistica varia – foto personale
coppa con decorazione a sbalzo di amorini, foto personale
Pegaso e Bellerofonte, affresco,foto personale
esempi di arte orafa – foto personale
Sileno disteso- foto personale
impressionanti i calchi delle vittime- foto personale

Le poche fotografie che ho scattato danno già idea di quanto possa essere interessante per gli appassionati di arte archeologia e storia visitare questo percorso espositivo che è breve ma dove ogni oggetto esposto merita attenzione; per chi fosse interessato la mostra rimarrà aperta fino al 29 agosto 2022.

per info: https://www.palazzomadamatorino.it/it/eventi-e-mostre/invito-pompei

Barcellona ha un borgo fiabesco

Il Parco Güell a Barcellona è un’area pubblica inaugurata nel 1924 di circa 17 ettari voluta dall’impresario Eusebi Güell e realizzato dal geniale architetto Antoni Gaudí.

Antoni Gaudì

Inizialmente doveva essere parte di un progetto residenziale molto più ampio, infatti avrebbe dovuto occupare l’intero pendio della Muntanya Pelada, l’area alle spalle del centro di Barcellona. L’idea prevedeva la realizzazione di un sobborgo che unisse la periferia tranquilla ai servizi della vita cittadina; il progetto comprendeva 60 lotti destinati ad altrettante abitazioni, dotate di aree verdi, scuole, una chiesa e un grande parco.
Purtroppo l’idea venne considerata troppo all’avanguardia per l’epoca, per cui Gaudí ridimensionò il suo progetto, limitandolo a tre abitazioni di cui una destinata alla sua famiglia.

Al termine dei lavori però, il parco cominciò a suscitare la curiosità di molti, più di quanto Güell e Gaudí avessero sperato, e presto divenne un luogo di svago, luogo per eventi sportivi e culturali, aree di ritrovo di famiglie e turisti nei giorni festivi.

Le sue architetture non contrastano con la Natura circostante, anzi si integrano bene grazie alle forme morbide delle costruzioni che richiamano l’andamento serpentino degli elementi naturali; sono tondeggianti, senza spigolature e hanno i colori vivaci delle ceramiche e dai mosaici realizzati con tessere di maioliche. La combinazione dei diversi materiali rende armoniosamente vivo il contesto

Gaudì pur apprezzando il mondo classico ruppe decisamente con lo stile sino ad allora in voga e ne rielaborò i dettagli in chiave ludica dal forte impatto visivo. Basti pensare alle architetture multiformi delle abitazioni poste all’ingresso del parco, con muratura realizzata con tasselli marroni, che in lontananza appaiono di un color biscotto, degno delle favole dei fratelli Grimm. Accanto svetta una torretta alta circa 10 metri decorata da maioliche bianche e blu , una spirale che vigila sul parco. Sfruttò la differenza di livello del declivio naturale per realizzare una grande terrazza dalla quale osservare l’intero parco e il centro di Barcellona, fino al mare , chiamata Plaza de la Naturaleza. Questa ricopre una superficie ovale di 86 metri di lunghezza e 43 metri di larghezza, il cui parapetto serpentiforme si trasforma in sedute dai colori sfavillanti dati dalle maioliche, permettendo ai visitatori di godere del panorama e di assistere agli eventi in corso.
L’intera struttura regge grazie alle 86 colonne doriche che compongono la sala ipogea alla base, tanto fitte da dare l’impressione di essere circondati da una selva di alberi secolari.
Dopo la morte di Güell e in seguito al trasferimento dello stesso Gaudí, i suoi eredi decisero di cedere il parco al comune di Barcellona, affinché diventasse di proprietà pubblica. Da quel giorno la fama di questo luogo magico e pieno di colori crebbe a tanto da ottenere l’inserimento nei beni patrimonio dell’UNESCO nel 1984.

Naturalmente è uno dei luoghi più visitati dai turisti che possono percorrere sentieri snodati come fiumi, dove le colonne sono inclinate o attorcigliate come alberi, e gli spazi interni sono simili a grotte . Ovunque Gaudì ha assicurato la fioritura delle specie autoctone di piante aromatiche mediterranee: palma, carruba, pino, cipresso, fico, mandorla, prugna, lavanda, timo, salvia, mimosa e magnolia. Un luogo incantevole per ogni età.