La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità. ( Albert Einstein )
Uno sbuffo sul collo e ci si gira a cercare il vento nel corsivo d’un raggio pacato. Si misura l’aria, pare più pura nell’istante in cui si esce dall’apnea. Cambia carattere il tuo nome è neretto maiuscolo, nel momento in cui appari più non mi volto.
Poesie narrative giovanili (1970-1975) legate al territorio, alle proprie esperienze di scoperta della vita, del mistero, dell’amore, tratte da “Il vespro dei deficienti”, 1975, Genova
Qui non posso udire la voce del cuculo. Qui l’albero non indosserà una mantella di neve, ma qui all’ombra di questi pini tutta la mia infanzia risorge alla vita.
Lo scampanio degli aghi tanto tempo fa – chiamano patria lo spazio della neve, e il ghiaccio verdastro che incatena il fiume lingua della poesia in una terra straniera.
Forse solo gli uccelli migratori conoscono quando sono sospesi tra la terra e il cielo questo dolore di avere due patrie.
Con voi sono stata piantata due volte, con voi, pini, sono cresciuta, le mie radici in due diverse terre.
Il viaggio più breve è quello lungo gli anni. La luce non è ancora passata. La casa crollò. Il muro si mosse. Ed ecco stanno l’uno accanto agli altri come vicini le mie notti di oggi, i miei giorni di allora. Che cosa si dissero? Siamo cambiati? Siamo invecchiati? Il viaggio più breve è quello dentro il passato. Ti ricordi? Un mare freddo, due navi che si abbracciavano bambini in cima a una collina sollevavano torce – Siamo invecchiati? Siamo cambiati? Credimi: fino a domani ho ancora ore assai lunghe
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Davvero verranno ancora giorni di perdono e di grazia e camminerai nel campo come l’ingenuo viandante
La pianta dei tuoi piedi nudi accarezzerà i fili d’erba, e le sommità delle spighe ti pungeranno, e la loro puntura sarà dolce, oppure la pioggia ti sorprenderà, con la massa battente delle sue gocce sulle spalle, sul petto, sul collo e ti rinfrescherà il capo.
Davvero camminerai ancora nei campi e la quiete si diffonderà in te, respirerai il profumo del solco trovando pace a ogni respiro vedrai il sole nello specchio della pozza dorata le cose e la vita saranno semplici e sarà permesso toccarle e sarà permesso, permesso, permesso amare
Camminerai nei campi da sola, non ti brucerai nella vampa degli incendi, in strade indurite dal terrore e dal sangue. E con cuore sincero sarai di nuovo umile e docile come un filo d’erba, come un essere umano, cui è permesso, permesso, permesso amare.
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Come il raggio di luce, che fende il calice di cristallo nel suo cuore animandosi nei giochi di colori e nelle danze di bagliori addormentati, ha attraversato la mia mente il ricordo del tuo sguardo di allora. Puoi sentirmi? Stanotte ho riso.
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Fioritura del ricino figlia d’una sola notte cupo caldo carminio tra il nero di foglie velluto. Un filare d’alberi rasenta il recinto spinato. Tardo rientrava all’ovile il gregge affaticato. Il celeste in smanie dalle spalle Sgrondava una nube smagliante. Tutto andrà perduto come luce in acque correnti. Tutto sorgerà per sempre nel fermo profumo agreste. Rossa e morbida è l’erba al tramonto come spuntata dalla quiete del mio sangue.
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Strofe in fondo alla via La strada è bellissima — disse il ragazzo La strada è assai faticosa — disse il giovane La strada è molto lunga — disse l’uomo Il vecchio si adagiò sul ciglio della strada Un tramonto d’oro e di rubino gli colora la canizie L’erba brilla ai suoi piedi, rugiada della sera L’ultimo uccello del giorno canticchia sopra la sua testa: Ti ricordi ancora quanto era bella, faticosa e lunga, la strada? Dicevi: i giorni s’inseguono a vicenda — ed anche le notti Nel cuore ti dicevi — «giorni verranno» Vedevi sere e mattine visitare la tua finestra e dicevi: non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Eccoti ora vecchio e incanutito dai molti giorni pochi te ne restano, e quanto sono preziosi È come se sapessi: ogni giorno è l’ultimo, sotto il sole È come se sapessi: ogni giorno è nuovo, sotto il sole Insegnami, Iddio, a pregare sul mistero di una foglia appassita, sulla luce che manda un frutto maturo su questa libertà: vedere, sentire, respirare sapere desiderare e fallire Insegna alle mie labbra a ringraziarTi e darTi lode nell’eternità del Tuo tempo, il mattino e poi la sera affinché il mio giorno non sia mai come quello di ieri una pigra abitudine.
Leah Goldberg o Lea Goldberg (Kaliningrad, Lituania, 29 maggio 1911 – Gerusalemme, 15 gennaio 1970), poetessa, scrittrice, drammaturga e traduttrice di lingua ebraica. Nel 1935 emigrò nel Mandato britannico della Palestina. Dal 1954 insegnò all’università Ebraica di Gerusalemme. Padroneggiava sette lingue, e tradusse dal russo, dal tedesco e dall’italiano.
L’interno borsa non vede luce, non lo tinge il pianto raccolto nel fazzoletto appalottolato. Secreta per ricordare inezie, grandi momenti irripetibili casualità e permessi. Bar privato, generi di conforto, pronto soccorso all’occorrenza, ogni oggetto verrà smistato da una mano incredula. Il trasloco non sarà indolore qualcosa avrà perso identità o solo senso di freschezza ma fino a nuova destinazione tutto è caos tenuto a bada.
Chi frequenta la poesia conosce il suo blog in cui fa confluire versi di poeti e autori cui dedica attenzione e spazio con molta generosità al fine di diffondere e incoraggiare la scrittura dei meno noti ma promettenti. Ma Flavio Almerighi è soprattutto autore, essenziale, diretto, incisivo, ironico e critico nei confronti di una realtà che condiziona l’esistenza; la sua acuta introspezione, tra un detto e un sospeso, allargata al suo territorio, tratta di temi sociali e si fa voce di molti, anche di coloro che vivono ai magini, che non riescono a dar voce al loro urlo interiore. Qui a raccolta cinque poesie tra le tante che sottolineano le peculiarità dei suoi versi, mai scontati e schivi a ogni retorica e metrica. Oggi è il suo compleanno e penso che gli auguri migliori possano essere quelli di un buon proseguimento nel far crescere il mondo della poesia di cui rappresenta un riferimento importante. Grazie e Auguri Flavio.
acre, coperta di fango
le bestemmie non pesano, sono grappoli d’uva spina appesi ad altre vite, la mia non ha peso sta sull’acqua malgrado un po’ di febbre
s’arrende a un filo di perle ama come una turnista persa nelle nebbie in cerca dei lampeggianti rossi di un qualsiasi cantiere,
acre, coperta di fango, matura come adulti che sanno fin da subito quanto sono bravi a farsi male
Ti seguirei anche per aria
Ti seguirei anche per aria, non hai problemi di tracciabilità, dov’è soltanto freddo e una gran magra di fiori.
Non esisto se ti allontani col mio nome trascinato dalla corrente insieme a cose belle, fiori una volpe, una bambina, un pianoforte.
Bisogna saper esistere, la memoria si ossida i colpevoli non parlano questo mondo fa paura.
hai visto i leoni?
hai visto i leoni? i bambini e tutti gli astrologi li adorano specie quelli che non dormono mai
e già un colpo di tosse più forte degli altri avverte che dovrei smettere, essere più facile da dimenticare, che oggi l’amore è lontano ma potrà compiersi tra queste righe
non importa sia a caso ogni singolo destino, le tracce portano tutte verso la stessa direzione, tanto da sentir dire ogni volta siete venuti dalla persona sbagliata
niente è più doloroso al mondo dell’iniziale di una negazione, mi conservo al riparo. Il poeta italiano non ha fame, è buffo non sa mordere con passione.
Così tutti noi siamo in fervida attesa di Caronte senza avere una buona ragione, basta sia una qualunque pronta a dire vi auguro un buon ritorno all’isola
di sette mattine
Di sette mattine cinque sono sbagliate due superflue.
I pomeriggi passati infiniti al presente col fiato corto, Auschwitz è più essenziale il sudamerica un’illusione.
La sera grandina pietre dure, si deve assecondare l’arte dell’ergastolano attingere sonno da programmi in replica.
Mancini
lo stesso mondo infrequentabile per poi ritrarsi quando il naso non sa più distinguere gli odori
ne ho incontrati di tutte le risme; salvo soltanto chi usa la sinistra. la destra non è la mano del cuore
scambisti di letture, incompresi, madonnine, incomprensibili, acrobati, puttane, sosia di
avessi un caminetto potrei decorarlo con tante teste dai begli occhi di vetro
i peggiori non separano mai l’arte dall’amicizia interessata, è drammatico che all’inculata non corrisponda paga
nessuno è migliore di quelli già morti, hanno detto tutto non possono più mentire: io sono di gennaio e so di ghiaccio
se non scuoce a fiamma lenta è tanto tenero il dimenticatoio
“ciechi che, pur vedendo, non vedono” – Josè Saramago
Aspettando il miracolo da eremi egoisti chi lucida armi, chi verità assolute, un destino incerto indegno d’ogni oracolo s’aggrappa con disperazione a ottusità di menti recluse in velleità sovrumane, profanatrici di aforismi mai compresi. Un vago incedere a ritroso, barcollante, ebbro di convinzioni assurde e il tempo rode e corrode con piogge acide la terra, a vista nessun moderno proto anarchico. Diogene con la lanterna fuori dalla botte cercava in doppia luce l’umana essenza, il moderno delirio infierisce sulla notte di saggezza non c’è traccia nè parvenza.
Da un germoglio di silenzio nasce una crepa che spaia, muta vento e scie destinate invertendone il senso. Sonorità oppiacee smorzano la prurigine del dubbio, aprono a spavaldi anacronismi, scismi di ventricoli gemelli. Scritte di vernici acriliche sui muri di un tempo morto colorano di rosa shocking piste di decollo dei sogni.
Daniela Cerrato
immagine: opera di Jean Michel Basquiat – rielaborata
Fasi demoniache turbano quiete stingono cieli per metà azzurri, crollano sorrisi, domina l’ansia ire confluiscono nel Flegetonte Costruire un inferno parallelo contrattaccando il sulfureo vanto, graffiare superbia di chi sfracella ogni cuore in equilibrio precario. Binario fiato per la duplice croce tessiamo insieme la pace a venire.
Daniela Cerrato
Dettagli dall’autunno degli angeli ribelli di Hieronymus Bosch
[…] Il viso a metà per necessità celato proprio dove l’ampiezza della curva fa differenza. Gli occhi, fedele traduzione siglano il saluto. E poi desiderare da te tutto sino a toglierti le parole […]
Segui onde, tracce, profumi, barlumi, traiettorie alate, aquiloni, segui le rotte giuste la linea prestabilita, le scie sagge e oneste, segui il cuore, ciò che vorresti fosse destino, l’istinto. Segui i dettami lontano dal gregge, la legge, il buon senso, segui e prosegui, mai a occhi chiusi, aguzza l’ingegno, se non arriva segno preciso non fare a cattivo gioco sempre buon viso. Urla disappunto non solo se una squadra fa punto.