La frenesia di un misterioso carosello notturno può sorprendere e cogliere di sorpresa e girovagare nella mente finchè non viene liberata in racconto.
Così trasformo il netto ricordo in scrittura conservandone intatta l’astrazione cui nulla aggiungo. Stavolta il caleidoscopio onirico s’è mantenuto vivo
per l’intera notte in un atmosfera stravagante degna delle tele di Leonora Carrington. Il protagonista principale faceva bella mostra di sè, aperto agli occhi incuriositi come un libro di favole in 3d fa scattare la meraviglia nei bambini; un grande diorama policromo cui si aggiungevano dettagli surreali in sequenziali riprese. Rappresentava una città immaginaria di epoca medioevale dove i borghi costruiti minuziosamente in legno verniciato erano su più livelli e circondati da una cinta che racchiudeva tinte rosso cupo e gradienti di marrone che si intonavano ai colori della boscaglia fuori le mura. Una tridimensione di estrema finezza, accuratamente lavorata con abilità certosina, dalle miniature di scale e utensili agli smerli e ai minuscoli gargoyle che troneggiavano appollaiati dall’alto di costruzioni che infittivano dal basso verso l’alto la massiccia fortificazione muraria.
Un pezzo degli scacchi, precisamente una torre in ceramica bianca, di fattura moderna e anacronistica nei confronti dello scenario, pretendeva posto posizionandosi alla cieca, ora qua ora là, mossa da autonoma forza se non vista. E puntualmente una forza contraria emanata dai gargoyle , che per magia si animavano, la disintegravano costringendola a ricomparire nuovamente dopo brevi assenze. Superato il contesto di visioni su giochi di specchi e nicchie che si pregiavano della penombra, mi ritrovavo entità cosciente e partecipante intorno al tavolo di pochi eletti che discutevano su ipotesi e tesi in un idioma arcaico e nei minuti che scorrevano via si scioglievano i nodi del groviglio di complessità . Il tutto ripetuto più volte, con alternanze di brevi visioni esterne su un borgo antico ( probabilmente il medesimo del diorama); borgo silenzioso e spopolato dove di pietra erano vie e case e in cui passaggi stretti amplificavano la vastità delle ombre. La luce a malapena filtrava di taglio come un ospite indesiderato e cosciente che toglie il disturbo di sua sponte. E di nuovo in interno a ripercorrere il nonsenso labirintico di uno spazio enorme frammentato da improvvise sporgenze e rientranze di pareti vere o riflesse su specchi deformanti.
Un viso amico fra gli eletti, unica carta che non fosse di dorso, è comparso più volte, anche quando le altre figure, tutte circondate da un’aura di mistero, si sono ritirate alla spicciolata salutando con un cenno del capo per sparire nella notte. Un sorriso appena accennato sul pallore lunare amico che evidenziava una barba medio folta, poi la raccolta di fotogrammi è andata svanendo, l’ultimo flash nitido sul diorama, ancora protagonista in primo piano, appoggiato su un grande tavolaccio rustico nella preziosità di una meticolosa artigianale passione. Nessuna traccia di come sono uscita dall’animazione di quel quadro simbolista, ma so che ero abbondantemente interessata a continuare a muovermi in quel copione astruso. Chiederò al regista Morfeo un proseguo, non mi piace inventare un possibile seguito e forse nemmeno ne sarei capace.
(Che siano gli anfibi gialli acquistati ieri che hanno acceso un filone fantastico al mio sonno? )
Daniela Cerrato

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.