profughi

I dati nell’unico biglietto,
la pancia dilatata del mostro alato
raccoglie altra radice di vergogna.
Aggrappati e scrollati da dorsale
di alluminio vittime sacrificabili
di questo mondo sempre meno rotondo.
Spaventoso e piatto l’encefalogramma
dei pilastri portanti, menti distorte
tentennano sulla sorte mentre siamo già
in una fossa globale, malati terminali
di volontaria autodistruzione.
Arriverà il giorno, quello finale
definitiva liberazione da ogni male.

Daniela Cerrato

Dedicata ad Elena

Con tutte voi ipotetiche sorelle
innalzo la mia voce al cielo
chè oda la stanchezza nostra
e non si stenda un pietoso velo
come sempre è abitudine  fare
di lasciar correre a mo’ di giostra
ogni insidia e nell’oblìo gettare
le nostre urla di dolore aggiunto
ogni volta ad altro dolore,
nascer donna non vuol dir rassegnazione
nel sopportare indegni trattamenti,
violenze barbarie disprezzo, assurde distinzioni
da stolti ciechi, e come riuscirebbero altrimenti
a non capire il gran peso che di per se stesso
grava sui nostri corpi, giacchè nascita e sesso
son già risicata predestinazione a priori
rispetto ai nati maschi che si ritengono “signori”
capaci d’annientare una donna senza batter ciglio
magari la stessa che generò in comune un figlio.
Eppur senza una donna nemmeno un grande duce
su questa terra avrebbe avuto spazio e luce.

( poesia già in bozza da tempo e terminata dopo l’ultimo efferato fatto di cronaca ai danni di una donna)

Daniela Cerrato, 2017

Scultura di Rogerio Timoteo “Cariatidi”

rogerio timoteo cariatidi

La risposta della Luna

( I versi di una nota canzone recitano :  “Se c’è qualcosa che non ti va, dillo alla luna…” )

E la luna, chiamata in causa
un’altra volta, sciolse
il suo silenzio e disse:
” Ed io, da tempo immemorabile
carica di desideri riflessi,
sento il peso dei secoli, dei pianti
di tanti cuori accesi, come ceri,
spenti dal vento o dal tempo,
e a pensare a fiducie in me riposte
che non hanno avuto risposte
l’animo mi duole, poichè in fondo,
non sono mica come credete a tutto tondo!
Limitata son pur io che dell’universo
possiedo un posticino ch’è un punto perso”

– Daniela Cerrato, 2017

 

Riporto qui in calce il testo della canzone di Vasco Rossi “Dillo alla luna”, 1989

Guardami quando mi parli
guarda se è vero…
Guardami quando mi parli,
guarda se tremo…
Smettila di parlare
guardando il muro,
e se qualcosa mi devi dire,
dimmelo duro!
Guardala in faccia la realtà
e quando è dura…
sarà sfortuna, sfortuna…
Guardala in faccia la realtà,
è più sicura
guardala in faccia la realtà,
è meno dura,
se c’è qualcosa che non ti va
dillo alla Luna…
può darsi che “porti fortuna”!
Dillo alla Luna…
Guardami in faccia quando mi parli
se sei sincera,
se non mi guardi quando mi parli
non sei sicura…
La voglio in faccia la verità
e se sarà dura
la chiamerò sfortuna.
Maledetta sfortuna!

Dopo arida terra ancor c’è un paradiso

Il dolore blocca, ma sorriso chiama sorriso,
uscir dai gusci occorre, se si vuole provare
come tartaruga, a rinnovar battesimo in mare
dopo arida terra ancora c’è un paradiso.

Perciò raccoglierei le tue mani come teneri fiori
nelle mie delicate esili dita che brulicano
di pensieri formicolanti su per gli avanbracci tesi;
e i sorrisi dispensati quasi senza ammiccare,

sarebbero luminescenze decise ad uscir fuori
dai cuori persi nel buio, che pure accorti, tentano
di acquisire fiducia nei timidi cenni protesi
a radunar coraggio e ancora scegliere di andare…

Daniela Cerrato, 2017

Vecchia corrispondenza

Parlo di quella trama a fitte righe di penna intinta per informare, con elegante grafia, di vita, accadimenti e sogni, confidenze e palpiti del cuore sulla carta color avorio che attendeva impassibile lo scorrere delle parole. Chi la ricorda, chi ne fa ancora uso, ora che i moderni mezzi l’hanno soppiantata? Asciutta piegata in quattro, protetta da un foglio gemello lasciato in bianco per occultare il privato contenuto a indelicati ficcanaso, iniziava il suo viaggio.
Quel filo sottile discontinuo d’inchiostro, che mostrava del polso emozionali tremori, congiungeva le materiali distanze recando felicità o tristezza; e a lettura ultimata, per la commozione la fibra inumidita da qualche lacrima scesa creava la sbavatura; anche quello un ricordo, in cui si fondeva il salso umore al sigillo di saliva e colla di chi aveva urtato il cuore.

Daniela Cerrato, 2017

Di rose e di felci

Era gìà di carezza calore
la certezza di vederti
per incontrar le tue parole
e i tuoi silenzi tesi all’ascolto,
con tono discreto indagavi
sugli affari miei, anche di cuore,
coglievi reticenze ed ombre
di delusioni sul mio viso,
sempre pronta a consolarmi
o a condividere la gioia
che non riuscivo a contenere;
ed io tentavo di sminuire
i tuoi dubbi e i tanti affanni
che disturbavano la pacatezza
al tuo sguardo ed al tuo dire.
Nello scorrere degli anni
assenza non muta, anzi cresce,
dei tuoi grandi occhi verdi,
splendidi toni di viva felce
sgranati per stupore
o contratti per dolore;
ci raccontammo molte cose
tra poche spine e tante rose
ma non riuscirò mai a dirti
madre mia, chè manca metro
di misura, l’ampiezza del vuoto
che lasciasti da quell’aprile,
e seppur è noto della vita il fine,
il distacco s’empie di nostalgia
e talvolta muove il mio pianto,
non solo in questa poesia
che d’infelicità è canto.

Daniela Cerrato, 2017

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Afflizione

Senza alcun volere
scorgo a malincuore
da vetri svelati
una figura piegata
che appare dolente,
s’intravede appena
dalla luce che filtra
nella stanza buia.
Cosa affligga costei
in lacrime sciolta
non è in mio sapere
ma  la sola visione
di persona raccolta
nel suo muto dolore
m’accora e intristisce
il mio umore già mesto.

Daniela,settembre 2016

Photo by © Roger Rossell. 2014

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Fiori rosa

Portavi fiori rosa tra i capelli
correvamo incontro al mondo
tra giochi e rimproveri
fantasie disobbedienze e quaderni
sorriso timido, scarse parole,
accomunate anche nelle merende
e dalla premura delle madri
Poi la vita disgiunta per anni
per scelte diverse, ci siam perse
senza smarrire il forte legame
di ricordi impressi in quella piazza
che ci ha viste crescere come sorelle.
Portavi fiori rosa e un cuore generoso
lo stesso devastato dalle dure terapie
in cui riponevi una speranza già delusa,
un destino  crudele, ma ora sei libera
dal calvario delle pene, sollevata
da ogni dolore che la carne affligge,
libera di correre lassù dove i fiori
profumano d’eterno.

Daniela,agosto 2016

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