“Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni

tutto è iniziato ascoltando il video di Paolo Fresu in cui Lella Costa legge un passo del libro postumo di Sergio Atzeni “Passavamo sulla terra leggeri”. Da lì il desiderio di leggerlo interamente in seguito anche a un paio di recensioni positive. E l’entusiasmo è proseguito pagina dopo pagina, rivelandosi un viaggio affascinante nella storia arcaica della Sardegna, col piacere di essere accompagnati attraverso la storia con intrecci di intrigante fantasia e velato mistero. Un racconto che talvolta si veste di profumi e incanti poetici e traccia il percorso del suo popolo autoctono , dalle origini dell’isola sino alla libertà di ritrovare le proprie origini dopo le varie invasioni subite. E a libro terminato si fatica a credere che, dal tempo in cui “passavamo sulla terra leggeri” ad oggi, il peso dei nostri passi si è moltiplicato smisuratamente. Forse l’autentica felicità era quella dei primordi.

riporto qui di seguito alcuni passi del libro e il video di Paolo Fresu.

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“Nella lingua fra i fiumi. Cento e cento case di canne,
paglia e fango. L’alta zicura di limo e tronchi al limite dell’acqua,
trecentotrentatré scalini per arrivare all’altare dove
pulsava il cuore del capro, leggevamo la parola, interrogavamo
il cielo e pronunciavamo oracoli.
Nulla è tanto ordinato e perfetto quanto immotivato e
misterioso come il cielo e la volta stellata che studiavamo
ogni notte immersi in calcoli sulle distanze, le orbite, i cicli.”

[…]

“Le correnti furono dolci e nominando tutte le sillabe
nominammo Le, stella del mattino, prima stella della notte,
favorevole alla fecondità e vedemmo le scogliere rosse avvicinarsi.
Nessuno di noi aveva mai governato un approdo.
M’u disse, nell’antica lingua: «M’ag o m’ad as». Così
chiamammo quel luogo e il nome rimase nei millenni fino
a oggi. Il mare gettò la nave contro le rocce. Ventuno volte,
finché la ridusse in cento e cento pezzi. M’u il saggio
scomparve fra le onde, l’acqua gli consumò le ossa. Ventuno
sopravvivemmo.
Eravamo gente alta e stando nell’isola siamo diventati
piccoli perché tutto trapiantato nelle isole di questo mare
diventa più piccolo, più scuro, più gustoso? O gente piccola
già in origine?
Piccoli di statura, scuri di pelle, abituati a pensare, ragionare,
contare, mai concordi fra noi. Così siamo tuttora,
fatti salvi gli imbecilli che non mancano e nessuna legge
potrà mai limitare.
«Il mare è infido» disse L’a scoprendo d’essere” […]

“Mattia vide gli occhi di Eleonora e pensò: “Conosce il
suo posto nel mondo e non ha paura di nulla”.
Eleonora vide gli occhi di Mattia e pensò: “Forse è capace
di poesia al modo dei provenzali o dei siciliani”.
Mattia vide il taglio delle labbra, armonioso, i denti bianchi,
piccoli, incantevoli anche se disordinati. Vide l’ombra
dei falchi proteggere Eleonora dal sole. Eleonora vide
paura, pena, disillusione nel volto di Mattia. Mattia imparò
a inanellare parole in filastrocche: «Donna che dolce il labbro
muovi, rosa che danzi ai venti cantando, sogni nuovi
nemici di lacrime e lamenti, dimmi: che sarà di noi?». Eleonora
si divertì a rotolare sull’erba vincendo alla lotta Mattia.
Mattia incantato sentì Eleonora parlare con sapienza di
grifoni, coltelli, mufloni, dell’alba, delle stelle e di galli sultani.
Eleonora rise alle smorfie di Mattia che provava a cavalcare
senza sella. Mattia con stupore scoprì che ogni
muschio rivela messaggi. Eleonora con stupore scoprì che
Mattia trovava un fiore nascosto dall’erba, distante un tiro
di pietra, seguendo il profumo. Mattia vedendo Eleonora
bagnarsi alla fonte ebbe paura di morire. Eleonora vedendo
gli occhi di voglia di Mattia sentì nuova grazia governare
i movimenti del corpo nell’acqua. Mattia pensò che
una delusione l’avrebbe ucciso.
Il profumo dei capelli di Eleonora, erba fresca, arance
mature, vento del mese di fiore d’asfodelo.”

«Passavamo sulla terra
leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua
che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola
e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere
e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i
monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi
lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole
a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta»


Sergio Atzeni (Capoterra 1952 – Isola di San Pietro 1995) giornalista e scrittore dotato di autentica vocazione narrativa e di una scrittura ricca di artifici.

È stato collaboratore di giornali e riviste letterarie, traduttore e consulente editoriale.. Dopo le prime prove letterarie (Quel maggio 1906. Ballata per una rivolta cagliaritana, 1977; Gli amori, le avventure e la morte di un elefante bianco, 1981; Araj Dimoniu, 1984), pubblicò il romanzo Apologo del giudice bandito (1986), che rivelava l’autenticità della sua vocazione narrativa. Elaborazione raffinata di due antiche leggende sarde, il romanzo anticipa il tema della messa al bando, condizione sofferta e voluta dai protagonisti dei successivi lavori: Il figlio di Bakunin (1991), romanzo-inchiesta sulla vita e le gesta di un anarchico, Tullio Saba; Il quinto passo è l’addio (1995), romanzo d’iniziazione a rovescio, verso un’infanzia infinita; Passavamo sulla terra leggeri (post., 1996), storia dei Sardi dalle origini mitiche alla caduta sotto il dominio aragonese. Il recupero del materiale antropologico e l’attenzione al presente si traducono nella narrativa di Atzeni., morto prematuramente nel mare della sua Sardegna, in una scrittura ricca di artifici, che oscilla tra un lirismo di tipo arcaico e il diarismo realistico, acceso da un incontenibile desiderio di modernità. Tra le altre pubblicazioni postume, Bellas mariposas (1996) e Raccontar fole (1999).