L’inevitabile

Osservo l’inevitabile,
quei muri devastati da forze naturali
come foglie che s’accartocciano
e si sbricioleranno arrese al freddo
osservo ciò che non è più
disperazione dolore desolazione
trasformate in rabbia o rassegnazione
si accumulano macerie non solo in strada
ma dentro l’anima che si fa pesante
lo sfogo in lacrime silenziose
sale amaro anch’esso inevitabile…
Oggi anche la nebbia non dirada
il suo grigiore m’avvolge il cuore
ai sorrisi neppur lontanamente penso
oggi va così,niente pare avere senso.

Daniela,2016

Riflettendo sull’articolo di Saramago

L’articolo  di Saramago che ho deciso di riportare qui di seguito fa riflettere su come spesso inglobiamo le varie notizie della storia passata o presente che leggiamo o che provengono dai notiziari attraverso i vari media. Sia per la quantità di notizie che si susseguono senza esser ordinati secondo i livelli di interesse sia per la velocità con cui vengono date spesso le trangugiamo come se stessimo inglobando cibo attraverso un’imbuto posto sulla bocca invece di assaporarlo e percepirne i sapori con la giusta calma cercando di coglierne le più sottili sensazioni. Trovo che ci sia la tendenza ormai a trasmettere e a recepire le notizie senza pensare al pathos che portano con sè,senza pensare al dolore e alle sofferenze spesso atroci  di chi è perito per una giusta causa, semplici sventurati o eroi del passato e del presente; e questa sensazione la si prova sovente per il fatto che  non viene data loro una personalità. Diventano e rimangono un numero,un nome,talvolta una fotografia che nulla ci dice della loro vita se non cerchiamo di approfondire. Sarebbe disumano non pensare ai sentimenti,al dolore,alla rabbia,alla disperazione,alla paura sacrosanta delle vittime che con la morte hanno perso anche la loro vera identità.
Ascoltare le notizie anche col cuore lo si può fare, lo si dovrebbe fare così come nel darne l’annuncio senza per questo dover romanzare e inventare pagine per un’altro tipo di immondo pseudogiornalismo  che a volte è capitato di sentire.

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Le grida di Giordano Bruno.
di José Saramago
(Traduzione di Guido del Giudice)
In definitiva, non è grande la differenza che passa tra un dizionario e un comune cimitero. Le tre righe secche e indifferenti con cui, nella maggior parte dei casi, i dizionaristi riassumono una vita, sono l’equivalente della liscia sepoltura che accoglie i resti di quelli che (mi si perdoni il facile gioco di parole) non lasciano resti. La pagina piena,con firma e fotografia, è il mausoleo di pietra
buona, porte di ferro e corona di bronzo, più il pellegrinaggio annuale. Però il
visitatore farà bene a non lasciarsi confondere dalle facciate architettoniche, dalle sculture e le croci, dalle statue piangenti di marmo, da tutto lo scenario che la morte apprezza da sempre. Ugualmente dovrà prestare attenzione, se si trova
in campo aperto, senza riferimenti, al luogo dove poggia i piedi, acché non succeda che sotto le sue scarpe si trovi l’uomo più importante del mondo.
Non va a calpestare, c’è un ostacolo, la sepoltura di Giordano Bruno, perché egli fu bruciato a Roma, arse atrocemente come arde il corpo umano, e di lui, che io sappia, neanche le ceneri si conservano. Però allo stesso Giordano, affinché tutte le cose stiano nei posti che loro competono e giustizia alfine si faccia, furono
riservate quattro righe in questo dizionario biografico. In così poco spazio, in così poche lettere, lì, tra la data di nascita (1548)e la data di morte (1600), dei dati di un universo personale che visse nel mondo poco si dice: italiano, filosofo,
panteista, domenicano, lasciò l’ordine religioso, si rifiutò di rinunciare alle sue idee, fu bruciato vivo. Niente di più. Nasce e vive un uomo, lotta e muore, così per questo. Quattro righe, riposa in pace, pace per la tua anima, se in lei credevi. E facciamo bella figura tra amici, in società, in una riunione, al tavolo del ristorante, in una discussione approfondita, se lasciamo cadere adeguatamente, in un modo semplice e saggio, la mezza dozzina di parole che usiamo
come un grimaldello e con le quali immaginiamo di poter aprire una vita e una coscienza.
Ma, per nostro disaccordo, se siamo in un momento di lucidità, le grida di Giordano Bruno irrompono come un’esplosione che ci strappa dalle mani il bicchiere di whisky e ci cancella dalle labbra il sorriso intellettuale che siamo soliti assumere per parlare di questi casi. Si, questa è la verità, la scomoda verità che viene a distruggere il piacevole rapporto del dialogo: Giordano Bruno gridò quando fu bruciato. Il dizionario dice solamente che egli fu bruciato, non dice che gridò.
Allora, che dizionario è questo che non informa? Perché dovrei volere una biografia di Giordano Bruno che non parla delle grida che lanciò lì, a Roma, in una piazza o in un cortile, con gente tutt’intorno, alcuni che attizzavano il fuoco, altri che assistevano, altri che serenamente stilavano l’atto di esecuzione? Dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono fatti di carne facilmente rassegnata. E’
dall’infanzia che i maestri ci parlano di martiri, che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora
possiamo dirci tranquillamente l’un l’altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se non lo sentiamo, dove sta il dolore?
Ma gridò, amici miei. E continua a gridare.

Da A Bagagem do viajante. Editoriale Caminho: “O Campo dà Palavra.” Lisbona, Portogallo, 1997 (sesta edizione). Raccolta di cronache pubblicata per la prima volta sul diario A Capitalnel 1969 e sul settimanale Jornal do Fundão, nel
1971 e 1972.

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Memoria azzerata

Una riflessione sulla memoria,una ricchezza alla quale attingiamo gioie o tristezze passate,nomi,volti,luoghi e tutto ciò che ha arricchito la nostra vita;dunque estremamente importante per creare collegamenti col presente. Ebbene da quando mia madre dopo una seria ipossia perse gran parte della memoria mi son sempre chiesta cosa in realtà ricordasse della sua vita, perchè nei due mesi che ha trascorso in tale condizione prima di andarsene, noi famigliari abbiamo avuto  la sensazione che si ricordasse soltanto cose legate alla sua infanzia-giovinezza. Parlava con noi ma non abbiamo mai avuto la certezza che le sue risposte peraltro vaghe fossero date con la consapevolezza di chi avesse davanti a sè. So che non c’è risposta a queste domande,ma nel calvario che le abbiamo visto trascorrere c’era sicuramente un mio malessere profondo nel non poter sapere come veramente si sentisse,cosa stesse provando ,se avesse ogni tanto qualche barlume in più,qualche spiraglio di memoria riacceso dalle nostre voci che le ricordavano particolari della nostra vita insieme.E’ incredibile come a distanza di anni mi ritorni sempre in mente questa cosa,questa impossibilità di comunicare come avevo sempre fatto con lei in uno splendida confidenza che andava oltre quello di semplice madre/figlia.
La funzionalità del “corpo macchina perfetta” è assai labile,bastano pochi istanti in più senza l’assoluta rapidità di soccorso perchè si inceppi un meccanismo così complicato e delicato. Ed è una tragedia nella tragedia,perchè pur sapendo che non si sarebbe ristabilita,avrei voluto avere almeno la possibilità di parlarle come sempre,di sentirle pronunciare ancora una volta il mio nome e non solo quello dei suoi genitori e  nonni,di poter fare qualcosa in più per lei,di rendermi conto di cosa percepisse e anche della sofferenza che provava.
Anche se è noto che il decorso di un brutto infarto può causare totali o parziali vuoti di memoria, mi capita spesso di avere ancora questi pensieri,quasi come se fossi stata io a smarrire la chiave per la combinazione che avrebbe potuto aprire la porta dei suoi ricordi.
Daniela,marzo 2016

Artwork by Agostino Arrivabene

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