La chiamavano da sempre strada viva
quel sentiero di mezza collina
che iniziava a scendere all’angolo
di una casa da poco abbandonata,
fiori perenni nel giardino cintato
mostravano ancora il gusto
di chi l’aveva abitata.
La percorsi, tutta, d’improvviso,
un dì che pioveva a secchiate
ebbra di rabbia trattenuta,
sfogai la foga con passi decisi
a tratti scivolosi, in un sottile
giacchino a cappuccio che dopo poco
iniziò a stingere il vivo colore.
Rivoli fucsia gocciolavano rigando
le mani fradice, incapaci di asciugare
il viso, grondante lacrime e pioggia,
la vista annebbiata non fermava
il cammino che proseguiva
con un’ energia cinetica potente,
non so quanto fango calpestai
ma dopo un restringimento della strada
mi trovai di fronte a un campo limitato
dall’asfalto di una provinciale.
Ripercorsi a ritroso, stavolta in salita,
il sentiero divenuto rigagnolo notando
qualche sprazzo di luce che apriva
il fronte di nubi cupe, la pioggia
s’era fatta quieta, i passi più lenti
non più a testa bassa, osservavo
che la terra, i prati erano zuppi
quanto me, vidi le casette delle api
dipinte coi colori dei fiori di campo,
ormai schiacciati e uniformati al verde
e più avanti scorsi nel fossato a lato
le raganelle che guizzavano allegre.
Forse era quello il vero senso
del nome curioso della stradina,
non viva perchè nuda e a vista
ma simbolo di energia, di natura pregna.
Con animo buio ma alleggerito
raggiunsi i vestiti asciutti
e un sole che faceva capolino.
Daniela Cerrato, 2017

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