alla lotteria del criceto

nessun valore da attribuire
ad atmosfere mediatiche
dove l’effimero veste Prada.

Fiori e bacche sulla strada
incastonano rosso
a speranze di stagnola

Si analizza lo spazio intercorso
tra le idee e il loro decesso,
d’un passo di storia buttato nel cesso
da incoscienze collettive. L’ingenuità
di credere che dietro i nomi ci fossero cuori
ma alla resa dei conti fu invasione di avatar
disciplinati dalla regia di un superpotere.

quello che ha nel sedere la stessa espressione del viso.

  • Daniela Cerrato

poesie di Roberta Dapunt

tratte da: Il verbo di fronte, Einaudi,2024

della tua morte

Di fianco al mite lume sale il torpido respiro. Lo ascolto. Pesante l’aria ha costruito un ponte, attende e noi qui intorno, il nostro sguardo, la tua conclusione. Odore di morte, ho raccolto i fiori nell’orto, deposti sul bordo liscio di un’acquasantiera, mentre fuori è già veglia di Pasqua. Accosto lentamente il naso alla brevità del tuo sorriso, ultimo compagno, è fragranza offuscata. Ed ecco che lí, sotto il tuo zittire le labbra, mi fai capire la sete.

Io ti irrigo. Irrigo te che sei terra promessa, che mi fai dono di esserne affluente dalla fede inadeguata. Io che sono creta senza diritto, stolta confesso, ben altro vorrei sapere. Vederti oltre, mia indiscrezione, dal tuo inabitato osservare, da lí cosa vedi? Cosa osservi? Cosa guardano le orbite fisse, che ti liberi giorno dopo giorno dal mondo esterno. È visione interiore la tua, troppo lontana per gli occhi miei che non seguiranno il tuo andare incontro al profondo.

**

sull’unità del verbo

Il tempo, questa voce d’incerta origine

tra principio e fine, eppure senza mai cessare.

Cosa pensare e come pensarlo

tutto questo tempo in sovrabbondanza di sé

e io che non lo comprendo.

La mia mente riconosce sí un tempo in fiore,

le frasi del linguaggio colloquiale, un elevato dire

che scrive un verso e un altro verso ancora

e forma e diventa un tempo di poesia.

All’opposto il tempo ora non mi contiene,

il suo insieme non ospita nulla di mio.

Misera condizione è la dispersione che sento,

diaspora dei pensieri che non porta all’unità del verbo.

**

al contrario

Sedere non risiedere, dice la panchina.

Che io non ti diventi dimora,

questo luogo santo all’agio

non è a servizio della carità altrui,

bensí di convivenza civile.

È vietato sdraiarsi in sede di bivacco diurno,

cosí pure di domicilio notturno.

Sia ben chiaro: vivere per strada non è reato,

esiste il diritto di esistenza ai margini della via,

poiché chi va mendicando è ognuno francescano,

che lí il compatimento è incluso,

ma la legge è per tutti e il decoro e la tutela

del quieto vivere un ordine sociale.

È dunque indecoroso il tuo stare

qui a dormire e riposare,

questa panchina è qui, perché tu ti possa sedere,

stare dunque, stare con le parti posteriori

del tuo corpo posate, le gambe distese o piegate

in breve agio, interrompere insomma l’abituale fatica

di capire cosa siano le convenzioni sociali.

______________

Roberta Dapunt è nata nel 1970 in Val Badia, dove vive. Per Einaudi ha pubblicato le raccolte di poesia: La terra piú del paradiso (2008), Le beatitudini della malattia (2013), Sincope (2018). Il Verbo Di Fronte (2024) Tra gli altri suoi libri, Nauz, raccolta di poesie in ladino (Il ponte del sale, 2017)

sera oltremisura

Solo più tardi si sconta
un tuffo nell'incoscienza,
sempre più costose le sere allungate
a prendersi gioco della notte,
un debito incalcolabile
incornicia occhi in fotofobia cronica.
In grassetto il punto interrogativo
dopo il perchè d'autocritica.
Lo sguardo sull'ennesimo segnalibro
che sbuca dalla copertina...
una sbirciatina fuori e s'indossa senza indugio
l'occhiale scuro, quello che fa muro.
Anche se piove.
  • Daniela Cerrato

l’arte interdisciplinare di Yinka Shonibare

Arte geniale e di grande contenuto socio-politico quella di Yinka Shonibare nato a Londra il 9 agosto 1962. Quando aveva tre anni la sua famiglia si trasferì a Lagos, in Nigeria. A diciassette anni è tornato nel Regno Unito e poco dopo ha contratto un’infiammazione al midollo spinale che gli ha provocato una paralisi a un lato del corpo.
Ha studiato Belle Arti prima a Byam Shaw School of Art, poi alla Goldsmiths University di Londra dove si è laureato. Dopo gli studi ha lavorato per un’organizzazione che rende le arti accessibili alle persone con disabilità.
Dopo vari riconoscimenti e partecipazioni a mostre importanti a livello internazionale nel 2016,la sua opera “Vento di Scultura” è stata installata di fronte al Smithsonian National Museum of African Art (NMAA) in Washington.
Nel 2023 con la sua opera presentata a Leeds, la sgargiante Ibiscus Rising , si commemora la vita e la morte di David Oluwale, un Nigeriano senza fissa dimora perseguitato dalla polizia di Leeds City.

Yinka Shonibare–Discus Thrower (After Myron)

Ibiscus Rising, 2023- Y.Shonibare- sotto un dettaglio

Wind Sculpture by Yinka Shonibare

In buona sostanza tutte le sue opere sono una rivisitazione dei tempi storici e trattano, a volte in modo provocatorio, i temi del colonialismo, quelli di razza e classe mediante l’unione di pittura, scultura, fotografia, installazioni d’arte, e, più recentemente, di film e performance. Esamina le intricate relazioni tra l’Africa e l’Europa, e le rispettive storie economico-politiche. Si descrive come un “post-coloniale”, prende ispirazione da tutto il mondo, come lui stesso ha affermato: “io sono un cittadino del mondo, guardo la televisione e lavoro sugli accadimenti.”

Fa spesso uso del caratteristico tessuto batik comune in Nigeria. Riconfigura immagini iconiche della storia dell’arte occidentale, trae spunti dalle relazioni culturali e materiali tra Europa e Africa. Ha creato biblioteche di libri rilegati in tela e ha reinterpretato il Lago dei cigni di Čajkovskij per commentare la differenza razziale.

Ha anche ricreato dipinti di artisti famosi utilizzando manichini senza testa con il Batik o l’Ankara al posto dei tessuti Europei, sia per rappresentare lo scontro sia per evidenziarne l’ interazione culturale durante il postcolonialismo.

Col passare degli anni la sua disabilità è aumentata e ora per le sue creazioni è costretto a basarsi su un team di assistenti.

Yinka Shonibare Art

L’artista ha esposto a New York, Londra, Parigi, Pechino e Tokyo e le sue opere appartengono alle collezioni della Tate, del Victoria and Albert Museum, del Museo Nazionale di Arte Africana, del Museo di Arte Moderna e del Pérez Art Museum Miami. Nel 2024 è ospite del padiglione della Nigeria alla Biennale di Venezia e sono le sue stesse parole che presentano il lavoro esposto: «Un lavoro sulla restituzione dei bronzi del Regno Edo di Benin, sottratti dalle truppe britanniche guidate dall’ammiraglio Rawson in una spedizione punitiva nel 1897. Quel furto è stato vissuto come una perdita di dignità da molti africani, così ho riprodotto alcuni dei pezzi più famosi, ancora oggi nella collezione del British Museum, e li ho posizionati in un monumento alternativo, una piramide di circa tre metri che ho chiamato Monument to the Restitution of the Mind and Soul. È un tributo alla dignità e all’autostima».

Shonibare

Qui il suo dito ufficiale: https://yinkashonibare.com

quelli che … oh yeh

Quelli che… ha un testo recitato su un arrangiamento basato sulla suggestione dell’assolo di sax di Pino Sacchetti. Diede il titolo a un album, prodotto nel 1975 dall’etichetta L’Ultima spiaggia che contava sulla batteria del noto Tullio De Piscopo. La rivista Rolling Stone lo inserisce nella 97° posizione dei dischi italiani più belli di sempre. Il brano ha una durata di nove minuti e ogni strofa inizia con Quelli che, a cui Jannacci aggiunge con sagace irona luoghi comuni, vizi e alienazioni tipiche dell’uomo medio, con variazioni adattate al periodo in cui la esegue nel corso degli anni. Il brano è stato la sigla di una famosa trasmissione sportiva e utilizzato in uno spot pubblicitario

Quelli che cantano dentro nei dischi perché ci hanno i figli da mantenere, oh yeh
Quelli che da tre anni fanno un lavoro d’equipe
Convinti d’essere stati assunti da un’altra ditta, oh yeh
Quelli che fanno un mestiere come un altro
Quelli che accendono un cero alla Madonna perché hanno il nipote che sta morendo, oh yeh

Quelli che di mestiere ti spengono il cero, oh yeh, no
Quelli che Mussolini è dentro di noi, oh yeh
Quelli che votano a destra perché Almirante sparla bene, oh yeh
Quelli che votano a destra perché hanno paura dei ladri, oh yeh

Quelli che votano scheda bianca per non sporcare, oh yeh
Quelli che non si sono mai occupati di politica, oh yeh
Quelli che vomitano, oh yeh, no, no, ne, yeh
Quelli che tengono al re

Quelli che tengono al Milan, oh yeh
Quelli che non tengono il vino, oh yeh
Quelli che non ci risultano, oh yeh, no yeh
Quelli che credono che Gesù Bambino sia Babbo Natale da giovane, oh yeh

Quelli che la notte di Natale scappano con l’amante
Dopo aver rubato il panettone ai bambini, oh yeh
Intesi come figli, oh yeh
Quelli che fanno l’amore in piedi convinti di essere in un pied-à-terre, oh yeh
Quelli, quelli che, quelli che son dentro nella merda fin qui, oh yeh, no yeh
Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro, oh yeh

Quelli che, quelli che non possono crederci ancora adesso che la terra è rotonda, oh yeh
No yeh
Quelli che non vogliono tornare dalla Russia e continuano a fingersi dispersi, oh yeh
Quelli che non hanno mai avuto un incidente mortale, oh yeh
Quelli che vogliono arruolarsi nelle SS

Quelli che ti spiegano le tue idee senza fartele capire, oh yeh
Quelli che dicono: “La mia serva”, oh yeh, no yeh
Quelli che organizzano la marcia per la guerra, oh yeh
Quelli che organizzano tutto, oh yeh

Quelli che perdono la guerra per un pelo, oh yeh, no yeh
Quelli che ti vogliono portare a mangiare le rane, oh yeh
Quelli che sono soltanto le due di notte, oh yeh
Quelli che hanno un sistema per perdere alla roulette, oh yeh

Quelli che non hanno mai avuto un incidente mortale, oh yeh
Quelli che non ci sentivano, oh yeh
Quelli diversi dagli altri, oh yeh
Quelli che puttana miseria, oh yeh

Quelli che quando perde l’Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio
E poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yeh
Quelli che dicono che i soldi non sono tutto nella vita, oh yeh
Quelli che qui è tutto un casino, oh yeh
Quelli che per principio non per i soldi, oh yeh, oh yeh

Quelli che l’ha detto il telegiornale, oh yeh
Quelli che lo status quo, che nella misura in cui, che nell’ottica, oh yeh
Quelli che hanno una missione da compiere, oh yeh, nobody else
Quelli che sono onesti fino a un certo punto, oh yeh
Quelli che fanno un mestiere come un altro

Quelli che aspettando il tram né ridendo né scherzando, oh yeh, no, no, no yeh
Quelli che aspettano la fidanzata per darsi un contegno, oh yeh
Quelli che la mafia “non ci risulta”, oh yeh
Quelli che ci hanno paura delle cambiali, oh yeh

Quelli che lavoriamo tutti per Agnelli, oh yeh
Quelli che tirano la prima pietra, ma che anche la seconda e la terza e la quarta e dopo
E dopo se sa no
Quelli che alla mattina alle sei, freschi come una rosa no
Si svegliano per vedere l’alba che è già passata
Quelli che assomigliano a mio figlio, oh yeh

Quelli che non si divertono mai, neanche quando ridono, oh yeh
Quelli che a teatro vanno nelle ultime file per non disturbare, oh yeh
Quelli, quelli di Roma
Quelli che non c’erano

Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli
Non hanno ancora finito e non sanno che cavolo fanno, oh yeh
Nobody else
Quelli lì

(autore: Enzo Jannacci)

il delirio dilagante, il bubbone più osceno

A scrutarne il viso questo pianeta fa tenerezza

ha un fascino narciso specchiato negli oceani,

nei ranuncoli, nei clivi, sulle cime brizzolate,

nelle foreste sfregiate di continuo. E si rabbuia

nelle spallucce di chi osserva la sua necrosi lenta,

nell’avida ostinazione di chi ne succhia le midolla.

Sulle ferite non rimarginate si getta altra purulenza

di esperimenti incontrollati, di pestilenze ideologiche,

d’evoluzioni tecnologiche che ne squarciano il ventre.

Non si finga costernazione, non ci si vesta d’innocenza ,

l’impegno d’un giorno per la propria Madre è risibile

un disegno, un fiore non curano anni di dolore.

Non si faccia del grande Tempio un luogo maledetto

sia interdetto al figlio che ne alimenta scempio.

— Daniela Cerrato

Reblog: da Dionisodoro poesia

SAMSARA

Come quella corona, eterna…che pare un cubo, traslucido nell’ariaperché distanza e cielo ingannanoe non sempre serban fedeltàd’immagine a sostanza. Ma al potereal potere essi stannoin perpendicolo,rapaci minacciosi,come quelli custoditi in una torreangolare, così tale geometriaè custode e mi confermala simmetrica ruota del Samsarache fende il solee abbaglia come in lampi.E ruota ruota,e ruota con implacabileinesausta […]

Samsara

la nostalgia del Mocambo

Mentre la sera discende
Una luce risplende
In un ambiente maron
Si vede una coppia in silenzio
Che beve l’assenzio del tempo ladron
Passi, si senton dall’alto
Sull’umido asfalto
Drin, hai sentito? Han suonato
È aperto il portone, prepara il caffè

Questa è la nostalgia del Mocambo
Per chi non lo sa
Un ritmo sconfinato di rumba
Che se va per la città, per la città

Ma come in fretta è salito
Di nuovo ha suonato
Nervoso drin,drin
Vai più veloce, Jeannine
Ad aprire la porta
E nascondi i patin
Lo so, c’è nessuno, è uno scherzo
Saranno i ragazzi del 73
Torniamo in tinello e beviamo
Ce lo meritiamo, in nostro caffè

Era la nostalgia del Mocambo
Per chi non lo sa
Un ritmo sconfinato di rumba
Che se ne va per la città, per la città.

i bei tempi della dancing can

“Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l’odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il “ci vediamo alle otto in piazza”, il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l’attesa del rewind, la dedica alla radio, l’impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.

Quando la tecnologia avrà seppellito anche l’ultimo sussulto relazionale, avrete completato l’opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.”

-Michelangelo da Pisa