quanto se la tira…

Il tempo schiocca le dita
ha faccia tosta di pressare
dove ha già ridotto fiato.
Scevro da qualsiasi impegno
se la tira all'inverosimile
giocando sporco
sulla serratura che non apre,
l'oggetto introvabile
la batteria scarica
una cerniera ingrippata.
Vien voglia di strappar via
il ghigno sadico dal suo ritratto
quelle braccine corte, anzi monche
che girano in tondo a un ritardo.

Daniela Cerrato

Rudolf Fila (1932-2015)

Rudolf Fila, nato a Pnbram in Moravia, ma vissuto a Bratislava, è stato un artista che ha arricchito la pittura slovacca di nuovi mezzi espressivi e tecniche innovative. Nel corso degli anni la sua arte è andata in una direzione di semplificazione di forme entrando di fatto nell’astrazione.

Rudolf Fila

Iniziò gli studi alla scuola di arte applicata di Brno sotto l’ala del prof. Bohdan Lacina, artista che dava piena libertà agli studenti e allargava i loro interessi verso la letteratura la poesia e la musica.
Frequentò poi il corso di pittura di Jan Mudroch all’Accademia di Belle Arti e Design di Bratislava dove ha dipinto, contariamente al realismo in vigore, delle opere astratte.

Rudolf Fila, 1960

Rudolf Fila, La continuazione dell’oro, 1965.

Intorno al 1960 iniziò a sperimentare diverse tecniche, con spruzzi e colate di colori che divennero espressione della sua arte. Combinazioni di macchie, occasionalmente affiancate a motivi geometrici, ghirigori, sovrapposizioni, che presentò in mostre collettive organizzate dall’unione degli artisti cecoslovacchi, fondata nel 1956, che girarono per l’Europa. Negli anni sessanta tenne mostre nell’ex Cecoslovacchia e all’estero, in particolare a Parigi, San Marino, Roma, Città del Messico.

Rudolf Fila, Stagione IV , 1964

In questi anni nei suoi quadri strutturali appaiono tracce lineari allungate che diventeranno una caratteristica dominante della sua pittura, oscillando pertanto tra astrazione e pittura gestuale.

Rudolf Fila, La nascita di Venere, 1971

Negli anni ’70 ha iniziato a creare monocromatismi con delle linee parallele di varia larghezza. e contemporaneamente ha reinterpretato in riproduzioni molto personali quadri famosi di artisti noti a livello mondiale, mostrando la sua ironia e inclinazione a parafrasare.
A metà degli anni ’80 ha rincarato la forza del colore utilizzando pennellate più violente e un colore più pastoso e ha iniziato a tenere corsi di pittura a Bratislava. Tra gli anni ’90 e 2000 ha esposto in una serie innumerevole di musei e gallerie in tutto il mondo. L’artista è morto l’11 febbraio 2015 a Bratislava.

Rudolf Fila, 1973

R.Fila, Overpainting

Rudolf Fila Gorgonská tvár, 1977

Rudolf Fila, Munch smile, 1981

R. Fila, Intervento prismatico,tecnica mista e tela applicata su tavola di legno, 1993

Rudolf Fila, Head II

della serie: gente che sarebbe utile solo se si dimettesse

dopo l’ennesima dichiarazione infelice “Per fortuna la siccità quest’anno ha colpito molto più il Sud, in particolare la Sicilia” Francesco Lollobrigida ribadisce il suo essere zavorra, tra le tante di cui ci si libererebbe volentieri, da catapultare nel deserto col sole a picco, senza scorte di acqua e cibo e senza satellitare per chiamare soccorso, per un tempo sufficientemente opportuno perchè si faccia un’idea del significato di Siccità .

poesie di Alfredo Giuliani (1924-2007)

Per la festa dei bambini allo zoo

È il più bel giorno di un burbero aprile
che ha portato gelide piogge
sotto i cappotti smunti
e agli alberi capitozzati ha dato
un sadico sfondo invernale.

Per la festa dei bambini allo zoo
c’erano tante automobili nel piazzale,
era venuto il vento di primavera
con tutto lo sciopero dei trasporti,
c’erano guardie inflessibili
ai divieti
di sosta e ai cani sciolti.

Per la festa han fatto pagare i bambini
e quadruplicato il prezzo.
Le solite foche avide e giocose
le solite scimmie
i soliti elefanti e guanachi
il solito leone sonnolento
sulle prode di cartone
                                  e tanti fotografi dilettanti.

Il Sindaco non c’era.
I burattini
                 e il resto dello spettacolo
non fecero né ridere né piangere,
sentimmo soltanto rotolare ancora un po’
la pietra della stupidità volgare.
Non passarono aeroplani sopra la nostra testa,
gli orsi non dettero il ballo.
Non ci fu nulla di gaio e di vitale.
Noi adulti conosciamo questa morte coloniale.
Il Sindaco, bambini, no.

**

Resurrezione dopo la pioggia

Fu nella calma resurrezione dopo la pioggia
l’asfalto rifletteva tutte le nostre macchie
un lungo addio volò come un acrobata
dalla piazza al monte
e l’attimo sparì di volto in volto
s’accesero i fanali e si levò la buia torre
contro la nostra debolezza
i secoli non ci hanno disfatti 

**

Grige radure s’accendono

Una banda di ragazzi preda le cavallette
nei terreni da vendere e pianta fazzoletti
in cima a pertiche, tra i cardi.
Il lavoro è già dietro lo steccato, avanza
col tonfo delle betoniere, cola con gli asfalti,
spela il cielo con la sega elettrica;
al suolo è rasa la muta torre.

Dal mio guscio di rovine saltano note di colomba.

Lascia un sentore felice la banda in fuga.
Laggiù sulle ville tramonta e grigie radure
s’accendono, il fiume rabbuia, soffia
un vento che non devasta né punge.
I lumi rossi vegliano ai cantoni del castello.

**

In debito di una morte famigliare
 
Chi guarda per essere guardato vede
un viso cieco. Le mura s’affrettano
a scantonare dove il gatto vomita e
divora senza vergogna. Ma non sanno
 
le mie nazioni, i cortili, in vetta
alle cuspidi lo stormire che le ali
fanno delle serrature per aprire o
quando di narcisi giù sulle quattro
 
candele mattutine grondano i cerei
ghiacci. Versiamo pure i cari debiti
nella cassa comune, e come si finisce
per amare tutto della sofferenza.
 
Chi dagli occhi ripiega le ali, tra
non molto dovrà strisciare; e almeno
calpestare scheletri di brina, noia,
descrivere in memorie le due eoliche
 
che accumulano i fianchi sottovento,
non le ceneri sciolte fotografare.
 
Guardano le cuspidi la spuma: urla,
abbranca i garretti del mare. Il
 
sapore del gatto, quando le ombre
sul batticuore passarono la fiamma
ossidrica. E ricordati di gettare
una fronda di polvere sullo spettro
 
dell’aria umida. Poi esplodono i fori,
la chiave sventra l’azzurra lapide.

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Alfredo Giuliani nacque a Mombaroccio, nel 1924, ma visse a Roma dove morì nel 2007. Le sue raccolte di versi: Il cuore zoppo (1955), Povera Juliet e altre poesie (Feltrinelli, 1965), Il tautofono (Scheiwiller, 1969), Chi l’avrebbe detto (Einaudi, 1973), Nostro padre Ubu (Cooperativa Scrittori, 1977), Versi e non versi (Feltrinelli, 1986), Ebbrezza di placamenti (Manni, 1993), Furia serena. Opere scelte (Anterem, 2004), Dal diario di Max. Pensieri e ridevoli patacchi (Marini, 2006).

È stato direttore responsabile della rivista del Gruppo 63 “Quindici” fondata a Roma nel 1967 e ha collaborato al quotidiano La Repubblica e alle riviste Il Verri, Il cavallo di Troia, Testuale e Gradiva. Nel 1970 ha pubblicato per Einaudi un il racconto in prosa della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso e nel 1972 per Adelphi il romanzo Il giovane Max. I saggi sono raccolti in Le droghe di Marsiglia (Adelphi, 1977) e Autunno del Novecento. Cronache di letteratura (Feltrinelli, 1984). Ha tradotto opere in versi e in prosa di James Joyce, Dylan Thomas, Edwin Arlington Robinson, Ben Jonson, Alfred Jarry, Henri Michaux, Thomas Stearns Eliot e il Pericle di William Shakespeare.

l’alba esprime sogno

La luce tra le asole,
in un bianco d'organza, di giglio,
d'un coniglio albino,
nel latte d'un sorriso bambino,
nelle federe stese al sole lunatico,
l'abbaglio è ovunque cercato. Violato
il riposo degli occhi, ogni ora
è buona per scacciare quel dèmone
diàmine d'inusitata malora.
E l'alba esprime sogno.

Daniela Cerrato

di che carne

“Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune gioco di stagione”

(Cesare Pavese, La Luna e i falò, Einaudi)

In luna  storta, dichiarata colpevole,
ogni porta ha spiraglio di lusinga,
occorre una pioggia opportuna
a bilanciare gradienti in disgrazia,
rimarcare bugia che oltre la soglia
sia più verde il manto.
Nei crepuscoli di Matè* il collante
si miscela ai colori d'incarnati
di colline e vecchie zie
madrine di battesimo e di cuore.
Pur se l'avidità di orizzonti
calpesta terra a passo irriverente
si resta ove la terra contiene
le ossa che randage non furono
respirando dialettali malinconie

Daniela Cerrato

  • Matè era il soprannome del pittore piemontese Matteo Olivero (1879 – 1932)

Piazza Castello

Oggi gli occhi prendono luce
l’increspo del cielo è balza leggera
che lascia immaginare… Cogliere il meglio
da un caos imprevedibile, da braccia alzate
al sole di maggio a bimbi che improvvisano
un saggio di danza su musiche di strada.

Palazzo Reale ha una corte variegata
senza re e regine da ghigliottine.
Stringo la mano a Paperino
in posa accanto alle fontanelle,
in velocità le rotelle d’uno skateboard
impennano un vento adolescente.

Oggi non mi sento fuoriluogo tra la gente, come disse Nietzsche

“… l’aria: secca, energizzante, allegra… il primo luogo in cui sono possibile!”

-Daniela Cerrato