vetrina fotografica: Sous Le Ciel De Paris

“Chi guarda nelle profondità di Parigi ha le vertigini. Niente di più fantastico, niente di più tragico, niente di più superbo” (Victor Hugo)

Edouard Boubat – Parigi. 1952

Parigi è la grande sala di lettura di una biblioteca che attraversa la Senna. (Walter Benjamin)

Frank Horvat. Parigi, modella in strada, 1951.

Willy Ronis. Parigi, 1950

“Ecco scende la sera, dolce al vecchio lascivo.
Murr il mio gatto siede come araldica sfinge
contempla, inquieto, con la sua pupilla fantastica
viaggiare all’orizzonte la luna clorotica.
È l’ora nella quale l’infante prega, dove Parigi-fogna
getta sul pavimento dei viali
le sue falene dai seni freddi che, sotto la luce spettrale
del gas, l’occhio che fiuta un maschio casuale. […]”

da La prima notte, poesia di Jules Laforgue
(trad. it. di Luciana Frezza, Poesie, Lerici, Milano, 1965).

Edouard Boubat. Treno in arrivo alla stazione Saint Lazare. Parigi, 1958

Édouard Boubat – Quartier Latin, Paris, 1968

Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile. (Ernest Hemingway)

André Kertész – Les toits de Paris, 1963

Eccomi preso daccapo a quest’immensa rete dorata, in cui ogni tanto bisogna cascare, volere o non volere. La prima volta ci restai quattro mesi, dibattendomi disperatamente, e benedissi il giorno che ne uscii. Ma vedo che la colpa era tutta mia, ora che ci ritorno … composto a nobile quiete, perché guai a chi viene a Parigi troppo giovane, senza uno scopo fermo, colla testa in tumulto e colle tasche vuote! (Edmondo De Amicis)

André Kertész, Palais de l’Institut Paris, 1932

Come l’autostrada collauda i motori, Parigi collauda gli uomini. Si può correre liberamente a tutto motore; ma attenti a non fondere le bronzine. (Anselmo Bucci)

André Kertész, The Eiffel Tower from Passy, 1935

O Parigi, mia mandorla

azzurra amara,

mia riserva sognatrice,

sin nelle pietre del tuo seno

mie dolci graminacee,

i tuoi mercanti di colori

alberi della mia voce viva

e il tuo cielo marcescente, mio elmo incantato.

(André Frénaud)

“Tour Eiffel” par Brassaï, Paris, 1932.

“Lo so, lo so che questo non è cipria, è sorriso
E sì, che non è luce, è solo un attimo di gloria
E riguarda me, che sono qui davanti a te sotto la pioggia
Mentre tutto intorno è solamente pioggia e Francia

Chissà cosa possiamo dirci in fondo a questa luce
Quali parole, luce di pioggia e luce di conquista
Hum, lasciamo fare a questo albergo ormai così vicino
Così accogliente, dove va a morir d’amore la gente…”

Parigi, Paolo Conte, da Paris Milonga, 1981

Brassai, Couple at the gare saint-lazare, c. 1937

versi sul Sogno di Primavera di Eduard Rohde ( Op. 122/2 )

In penombra l’irto si stonda
la luce soccombe, il buio inghiotte,
sciolto un coagulo di pensieri
sulle note di Eduard Rohde,
fingono di giocare i colori
delicati, forti, tutti innocui
nel bavero sollevato della finestra.
Fan bella mostra gli acuti dei silenzi
il viola esteso dei campi di Provenza.

Daniela Cerrato

at the piano: Phillip Sear

William Shakespeare , sonnet 20

A woman’s face with nature’s own hand painted

Hast thou, the master-mistress of my passion;

A woman’s gentle heart, but not acquainted

With shifting change as is false women’s fashion;

An eye more bright than theirs, less false in rolling,

Gilding the object whereupon it gazeth;

A man in hue, all hues in his controlling,

Which steals men’s eyes and women’s souls amazeth.

And for a woman wert thou first created,

Till nature as she wrought thee fell a-doting,

And by addition me of thee defeated

By adding one thing to my purpose nothing.

      But since she pricked thee out for women’s pleasure,

      Mine be thy love and thy love’s use their treasure.

Le ma-donne di Angelo Maggi

Angelo Maggi è pittore, scultore, scenografo, decoratore e pubblicitario, in quel di Sassari, dove è nato nel 1958, formato presso maestri come Stanis Dessy, Aldo Contini, Gavino Tilocca. Nel 1983 apre a Sassari uno spazio espositivo che diviene un punto di riferimento artistico in città dove ha modo di diffondere maggiormente la sua arte ma anche quella di altri artisti.

Le sue opere di grandi dimensioni e dallo stile molto personale vengono richieste per diverse occasioni: allestimenti teatrali, eventi e presentazioni nonché per decorazioni di oggetti per la casa o abbigliamento. L’artista sassarese ritrae innnzitutto donne dall’espressione dolce e dai tratti essenziali, i loro volti sembrano madonne senza tempo, di una bellezza antica nei copricapo drappeggiati e raffinati dettagli della tradizione come le arracadas (orecchini) rosso corallo, e poi amuleti e gioielli di filigrana o elementi naturali ( frutti, spighe ecc…) in una tavolozza contenuta che riprende i colori della terra e del cielo; azurro, cremisi, bianco, oro e indaco. Trasmettono nelle loro pose tranquille riferimenti alle antiche tradizioni isolane in una eleganza semplice e ricercata al tempo stesso. Con installazioni anche permanenti è presente in tutta la Sardegna ma si spinge ben oltre i confini italiani. Nel 2001 un viaggio negli Stati Uniti premia la sua creatività, infatti la Worpal Gallery di San Francisco gli ordina una dozzina di opere di grande formato nonché l’avvio ad una serie di mostre tra Salt Lake City e New York dove l’artista ritorna sovente. Anche in Francia riscuote un buon successo, soprattutto in Costa Azzurra e a Tolosa.


Alcuni dei suoi ultimi lavori sono ispirati ad opere teatrali o liriche di grande notorietà, come la Turandot di Puccini, con i suoi occhi di ghiaccio, o la Carmen di Bizet, che ha il volto sognante della zingara andalusa.

“La figura mi ha affascinato fin da studente, grazie al maestro Stanis Dessy che ho incontrato all’Istituto d’Arte di Sassari, dove ho frequentato il laboratorio di decorazione pittorica. Ho lavorato a lungo, mi dice, con una punta di orgoglio, come cartellonista pubblicitario. Poi è nato l’incontro con l’arte vera. Ed ecco le mie donne”.

poesie di Cesare Pavese da Lavorare stanca (Torino, Einaudi 1943)

Agonia

Girerò per le strade finché non sarò stanca morta
saprò vivere sola e fissare negli occhi
ogni volto che passa e restare la stessa.
Questo fresco che sale a cercarmi le vene
è un risveglio che mai nel mattino ho provato
così vero: soltanto, mi sento più forte
che il mio corpo, e un tremore più freddo
accompagna il mattino.

Son lontani i mattini che avevo vent’anni.
E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,
ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.
Da domani la gente riprende a vedermi
e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi
e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,
ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo
di esser io che passavo-una donna, padrona
di se stessa. La magra bambina che fui
si è svegliata da un pianto durato per anni
ora è come quel pianto non fosse mai stato.

E desidero solo colori. I colori non piangono,
sono come un risveglio: domani i colori
torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,
ogni corpo un colore-perfino i bambini.
Questo corpo vestito di rosso leggero
dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi
e saprò d’esser io: gettando un’occhiata,
mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
uscirò per le strade cercando i colori.

***

Disciplina

I lavori cominciano all'alba. Ma noi cominciamo
un po' prima dell'alba a incontrare noi stessi
nella gente che va per strada. Ciascuno ricorda
di esser solo e aver sonno, scoprendo i passanti
radi - ognuno trasogna fra sè,
tanto sa che nell'alba spalancherà gli occhi.
Quando viene il mattino ci trova stupiti
a fissare il lavoro che adesso comincia.
Ma non siamo più soli e nessuno più ha sonno
e pensiamo con calma i pensieri del giorno
fino a dare in sorrisi. Nel sole che torna
siamo tutti convinti. Ma a volte un pensiero
meno chiaro - un sogghigno - ci coglie improvviso
e torniamo a guardare come prima del sole.
La città chiara assiste ai lavori e ai sogghigni.
Nulla può dubitare il mattino. Ogni cosa
può accadere e ci basta di alzare la testa
dal lavoro e guardare. Ragazzi scappati
che non fanno ancor nulla camminando in strada
e qualcuno anche corre. Le foglie dei viali
gettan ombre per strada e non manca che l'erba,
tra le case che assistono immobili. Tanti
sulla riva del fiume si spogliano al sole.
La città ci permette di alzare la testa
a pensarci, e sa bene che poi la chiniamo.
© LAPRESSE Archivio Storico Anni ’40 Nella foto: Lo scrittore CESARE PAVESE fotografato sulla collina torinese

una preghiera da mille anni

scritta e composta da HIMEKAMI

Himekami è un gruppo giapponese di musica new-age, fondato nel 1980 dal compositore Yoshiaki Hoshi ; il nome della band deriva dal Monte Himekami nella città di Morioka

Il gruppo era composto da Yoshiki Hoshi al sintetizzatore e dalle voci di Wakako Nakajima, Tomoko Fujii, Junko Shiwa, e Yoriko Sano. Proprio il fondatore Hoshi è morto nel mese di ottobre 2004.

l’obsoleto

tergiversa per non ribadire
il fiato speso oltre misura
non s'aggrappa al cuore e vola via.

Il cielo fuma  blu e sputa nebbia
ingloba  anche  l'ultimo saluto
strappando imprecazioni

Più in là un pensiero meno severo
fuori tempo utile plana poi cade
divenuto obsoleto anche su carta.

Daniela Cerrato

non era vero

Dicevano che in quella frazione sperduta
in Valle tutti erano sordi e ostili.
Si andava di pomeriggio presto
per non fare tramonto, quaranta minuti
senza soste, nemmeno un bar o un ciabòt.
Se era pioggia si invidiavano le lumache
pronte a rientrare in pochi secondi,
si intonavano Battisti e Nomadi
ma era meglio ascoltare i passi sui sassi
il canto dei grilli e il profumo intenso
della flora montana. L’odore di letame
annunciava l’arrivo dietro l’ultima curva.
Piccola e fitta di case, anch’esse minute
collegate tra loro da archi, stretti anfratti
raccoglievano panche di taglio grezzo
scuro come i volti dei vecchi che apparivano
d’improvviso, incuriositi da noi pellegrini
poco più che bambini. Tutt’altro che sordi
erano però scontrosi, disabituati ai forestieri
se qualcuno parlava era in patoué valdŏtèn,
qualche parola di francese ci salvava ma il resto
cadeva nell’indecifrabile. Ci chiedevamo dove
fosse finita la gioventù oltre quella bruciata
vedendo solo bovini e qualche capra. Fuori paese
proseguendo s’arrivava al torrente e si svuotavano
sacchi di merende e ipotesi più o meno serie.
Al ritorno pare ci attendessero, il più ospitale
tendeva un boccale di latte tepor di mammella,
dire no era scortese, non volevano moneta
solo che non facessimo inquietare il bestiame
con voci stridule insistenti. Capitava l’estate
nello stesso luogo e si rifaceva lo stesso tragitto
almeno un paio di volte per salutare quei nonni
lontanamente nostri, e chissà che anche loro
ci considerassero stranieri ma un po’ nipoti.

Daniela Cerrato