Il senno del poi non riscrive la vita,
ma fossi sotto la stessa volta di stelle
testimone del tempo nostro di allora
andrei oltre quell’occhiata di sfioro,
la interrogherei sui nostri sogni,
la supplicherei di darci manforte
di farci avere delle buone carte,
d’esser clemente col nostro destino
ammorbato e tinto di malasorte.
Splendeva subdola la buona stella
sulle fantasticherie abbozzate
da occhi negli occhi inchiodati
a leggere il seguito di gioie affiancate,
a secretare pensieri in embrione,
e ingelosita forse a nostra insaputa
ci ha privato di astrale protezione,
e tu non avesti una scorza così forte
per affrontare così presto la morte.
Sei caduto senza più rialzarti
e seppure il mio fiato sopravvissuto
sia rimasto a contare altri bisestili
non perdono ciò che mi hanno rubato,
livore profondo nutro verso stelle ostili,
ai tuoi ventotto anni hanno cancellato
i desideri che avevi col cuore imbastito,
il progetto nuziale han di lutto sporcato
e un inganno di vita m’hanno riservato.
La voce di Dylan rimasta nell’autoradio
della tua auto parcheggiata per sempre
era compagna dei nostri viaggi brevi
sottofondo di rosei diamanti di tempo,
soffia nel vento, sulla stessa canzone
è dolore cercare ora identica emozione,
chiudendo gli occhi e ascoltarne il senso
riaprirli e toccare con mano il vuoto denso.
È un gelido tocco che fa impazzire la ragione.
(a quel tragico 1988) – Daniela Cerrato