sulla beat generation

John Clellon Holmes spiegò con queste parole cosa significava  essere beat descrivendo il contesto storico sociale in cui si trovarono a vivere quegli scrittori:
“Chi è sopravvissuto a una guerra, qualunque tipo di guerra, sa che essere beat non significa tanto esser morti di stanchezza quanto avere i nervi a fior di pelle, non tanto «essere pieni fino a qui» quanto sentirsi svuotati. Beat descrive uno stato d’animo spoglio di ogni sovrastruttura, sensibile alle vicende del mondo esterno, ma insofferente della banalità. Essere beat significa essersi calati nell’abisso della personalità, vedere le cose dal profondo, essere esistenzialisti nel senso di Kierkegaard piuttosto che di Jean-Paul Sartre. […] la beat generation […] nella storia americana […] è la prima generazione cresciuta in un’epoca nella quale l’addestramento militare in tempo di pace rappresenti un dato di fatto della vita nazionale. È la prima generazione per la quale le formule magiche della psicanalisi siano divenute nutrimento quotidiano dell’intelletto, a tal punto che essa rifiuta coraggiosamente di accettarle come misura ultima delle vicende dell’animo umano. È la prima generazione alla quale il genocidio, il lavaggio del cervello, la cibernetica, le ricerche motivazionali – e il loro inevitabile risultato, ossia la limitazione del concetto di libero arbitrio – siano familiari come la propria faccia. Ed è infine la prima generazione che sia cresciuta in un mondo nel quale la soluzione finale di tutti i problemi sembra essere una sola: la distruzione nucleare”.

(John Clellon Holmes, La filosofia della beat generation, in I Beats, a c. di Seymour Krim, Paperbacks Lerici, Milano 1966)

nota:  Fu Jack Kerouac a coniare il termine Beat Generation quando, rivolgendosi all’amico, esclamò: “You know, this is really a beat generation” (lo sai, questa è davvero una beat generation).
L’espressione venne ripresa, poi, da Holmes in un suo articolo, dal titolo Questa è la Beat Generation, pubblicato il 16 novembre del 1952 sul New York Times.    Nell’articolo egli attribuiva la paternità del termine beat a Kerouac, il quale, a sua volta, la attribuì a Herbert Huncke.