poesie di Titos Patrikios e pillola musicale di solo bouzouki

Titos Patrikios è nato ad Atene nel 1928 e considerato il poeta greco vivente erede di una tradizione illustre che va da Kavafis a Seferis, da Elitis a Ritzos. Con l’Italia ha un rapporto di lunga durata, lo conosciamo tramite “La resistenza dei fatti”, edito da Crocetti nel 2007, ormai introvabile. Ci sono poi altre pubblicazioni, alcuni componimenti sono stati tradotti per il Quadernario 2014 (Lietocolle) e da poco è uscito anche il libro Per Rena e altre poesie (La Zisa). È indubbiamente tra i rari veri liberi pensatori in versi perché nonostante una militanza che gli costò l’espatrio, a Parigi e a Roma, e il confino nelle isole di Makrònissos e Aghios, non si è mai asservito ad alcuna ideologia.

I simulacri e le cose

Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo
eppure è di nuovo nero come la pece il cielo,
partorisce mostri di oscurità la notte,
spauracchi del sonno e della veglia
ostruiscono il passaggio, minacciano, chiedono riscatti.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi …
non temere, diceva il poeta,
ma io temo i loro odierni simulacri
e soprattutto quelli che li muovono.
Temo quanti si arruolano per salvarci
da un inferno che aspetta solo noi,
quanti predicano una vita corretta e salutare
con l’alimentazione forzata del pentimento,
quanti ci liberano dall’ansia della morte
con prestiti a vita di anima e corpo,
quanti ci rinvigoriscono con stimolanti antropovori
con elisir di giovinezza geneticamente modificata.
Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio
così una fialetta di malvagità
può avvelenare innumerevoli vite,
“inesauribili le forze del male nell’uomo”
predicano da mille parti gli oratori,
solo che i detentori della verità assoluta
scoprono sempre negli altri il male.
“Ma la poesia cosa fa, che cosa fanno i poeti”
gridano quelli che cercano il consenso
su ciò che hanno pensato e deciso,
e vogliono che ancora oggi i poeti
siano giullari, profeti o cortigiani.
Ma i poeti, nonostante la loro boria
o il loro sottomettersi ai potenti,
il narcisismo o l’adorazione di molti,
nonostante il loro stile ellittico o verboso,
a un certo punto scelgono, denunciano, sperano,
chiedono, come nell’istante cruciale
chiese l’altro poeta: più luce.
E la poesia non riadatta al presente
la stessa opera rappresentata da anni,
non salmeggia istruzioni sull’uso del bene,
non risuscita i cani morti della metafisica.
Passando in rassegna le cose già accadute
la poesia cerca risposte
a domande non ancora fatte.

Gli amici

Non il ricordo degli amici uccisi
a straziarmi le viscere.
È il pianto per le migliaia di sconosciuti
che lasciarono gli occhi spenti
nei becchi degli uccelli,
che stringono nelle mani gelate
una manciata di bossoli e di spini.
I passanti sconosciuti
con cui non parlammo mai
con cui solo per poco ci guardammo
quando ci fecero accendere la sigaretta
nella strada serale.
Le migliaia di amici sconosciuti
che diedero la vita
per me.

Resistenza della memoria

Forse del corpo
quello che più si dimentica
è il piacere.

La caverna

Ho passato anch’io anni della mia vita
legato dentro una caverna oscura
convinto che le ombre sulle pareti
fossero il presente che cambiava.

Rinvii

Rinviamo continuamente l’istante

in cui non ci incontreremo in nessun luogo

Nel frattempo ridiamo molte volte

di tante cose della nostra vita,

e a volte piangiamo soli, di nascosto,

per ciò che non ritornerà mai più.

Autore: Daniela

https://ilmondodibabajaga.wordpress.com/ email: danycer@fastwebnet.it

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