da Grey Oceans, 2010

It was Cinco de Mayo
Pillow case on his head
No more breathing time
An ambulance sped
Sped ‘round ever corner
Calling out his nameShot a rabbit from the back seat window
Sat and watched the summer corn grow
Ate ice cream in a desert dream
And got lost in father’s singing
Too hot inside
Too hot outside
Lazy days when I said let’s go for a ride
We’ll sail on Spirit Lake
Me, my pappy, and his lemonadeTim and Tina were my parents’ names
They got engaged
They were inflamed
Seduced by the light of butterflies
How they shimmer, how they glimmer
Those butterfliesWe seven kids
We almost died
Nearly put to death
By lightening strikes
Instead there was hot, pink
Flashes in the sky
We climbed the rocks, in snow and rain
In search of magic powers
To heal our mother’s pain

poesie di Boris Pasternak

«L’arte è nell’erba e bisogna avere l’umiltà di chinarsi a raccoglierla»
(Boris Pasternak)

A Elena 

Neppure una parola
sconveniente disdegnerei,
ma su chi possiamo ricercare?
Su nessuno e da nessuno possiamo.

Forse chiede l’aro
presso la palude l’elemosina?
Le notti respirano invano
coi tropici imputriditi.

Tu giusta apparirai
pensavo, speravo, – da quel mattino
per sempre oscillando
nell’anima come giglio.

Il prato faceva amicizia coi modi
di Faust o di Amleto,
circondava di matricaria,
gli steli per le gambe volavano.

O appena,
come alitando nel sogno
la perla di una collana
sulla spalla di Ofelia.

Spasimava di notte il cascinale:
cirri impedivano
di dormire. Una pioggia sottile intabarrava
il campo di un silenzioso incedere

di gocce guardinghe.
La giovinezza nella felicità veleggiava,
come in un sommesso infantile russare
la federa sazia di sonno.

Pensavo: di Troia a lei sarebbe adatto il tempo,
delle amare labbra la sinuosità baciando:
erano palpebre meravigliose,
regali, di gesso.

Caro, morto grembiule
e tempia pulsante.
Dormi, zarina di Sparta,
è ancora presto, è umido ancora.

Il dolore sul serio
si scatenò ebbro.
Solo con esso è terribile.
Se s’infuria, – te la caverai?
Piangi, sussurrò. Corrode?
Brucia? La stessa sulla sua guancia!
Che sia il destino a decidere:
da madre o da matrigna.

***

Definizione della creazione

Rivoltando il collo della camicia,
irsuto, come un busto di Beethoven,
copre col palmo come pedine
i sogni e la coscienza, la notte e l’amore.

E una dama nera
con furia e angoscia
predispone alla fine del mondo
cavaliere a cavallo contro le pedine.

Nel giardino ove dalla cantina, dal gelo
esclamazioni fragranti mandano le stelle,
come un usignolo sulla vite di Isotta
raggelano i singhiozzi di Tristano.

E giardini, recinti e stagni
e l’universo che ferve di bianchi lamenti,
non sono che corrente di passione
a lungo accumulata nei cuori.

***

Da un poema

(frammento) 


Anch’io amavo, e il respiro
dell’insonnia nelle ore antelucane
dal parco scendeva al dirupo, e nel buio
frullava via all’arcipelago
di spiazzi annegati nella nebbia arruffata,
nell’assenzio, nella menta, nelle quaglie.
E qui si appesantiva lo slancio dell’adorazione,
diveniva ebbro, come ala impallinata,
e piombava nell’aria e cadeva in un brivido
e sui campi si disponeva come rugiada.
E dopo anche l’alba si accendeva. Fino alle due
del cielo infinito sfavillavano le dovizie,
ma ecco che i galli cominciavano a spaventarsi
delle tenebre e si sforzavano di celare il terrore,
ma nelle gole esplodevano fogate,
e la paura si lamentava in falsetto per gli sforzi,
si spegnevano le costellazioni e, come su ordinazione,
con volto da spegnicandele occhi sporgenti,
 appariva ai margini il pastore.
Anch’io amavo, e lei è ancora
viva, può darsi. Passerà il tempo,
e qualcosa di grande, come l’autunno, un giorno
(se non domani, forse, in qualche momento del futuro)
accenderà sulla vita, bagliore d’incendio impietositosi
del folto. Della stupidità delle pozze languenti
come rospo per la sete. Del tremore di lepre
delle radure, con le orecchie cucite nella stuoia
del fogliame dell’anno trascorso. Del fragore simile
alla falsa risacca del passato. Anch’io
amavo e io so: come stoppie bagnate
sono dal secolo disposte ai piedi dell’anno,
così di ogni cuore depone amore
la notizia febbricitante dei mondi al capezzale.
Anch’io amavo, e lei è viva ancora.
Come allora rotolando in quell’iniziale mattino
stanno i tempi e spariscono oltre il margine
di un istante. Come allora questo confine è sottile.
Come sempre il più lontano sembra di poco fa.
Come sempre, scomparso dai volti dei testimoni oculari,
impazza l’evento passato, fingendo di non sapere
di non essere più tra noi.
E’ pensabile questo? VuoI dire così che pure in realtà
per tutta la vita si allontana, e non dura
l’amore, della sorpresa tributo momentaneo?

***

Qui dell’enigma è passata l’unghia misteriosa

Qui dell’enigma è passata l’unghia misteriosa.
È tardi, dopo un buon sonno, all’alba rileggerò e capirò.
Ma finché non mi avranno svegliato, a nessuno, come a
me, è dato di commuovere l’amata.
Come ti commuovevo! Con il rame delle mie labbra
perfino
ti commuovevo, come con una tragedia commuovono la
sala.
Il bacio era come l’estate. Indugiava e indugiava,
solo dopo si scatenava la tempesta.

Beveva come gli uccelli. Libava fino a perdere i sensi.
Le stelle a lungo stillano con la gola nell’esofago,
gli usignoli stravolgono gli occhi con un fremito,
goccia a goccia bevendo tutto il firmamento notturno.

***

da sinistra: Boris Pasternak nel 1959 e in un ritratto opera del padre Leonid

Boris Pasternak (1890-1960) figlio di un noto pittore e di una pianista, dopo aver compiuto studi di musica, diritto e filosofia, iniziò l’attività artistica nelle avanguardie, vicino ai futuristi. L’esordio è segnato da un volume di poesie, Bliznec v tucach (Il gemello nelle nuvole, 1914), e ben presto viene riconosciuto come uno fra i più interessanti poeti russi della sua generazione.
La sua opera, però, resta saldamente legata alla grande stagione dell’Ottocento russo, e in particolare a Tolstoj, che era stato amico del padre.
Poeta, membro non allineato dell’intellighenzia, visse in disparte, in una colonia di scrittori a Peredelkino, nei pressi di Mosca, senza mai cercare di accattivarsi la simpatia delle autorità sovietiche.
Insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1958, non poté andare a ritirarlo, perché il ritorno in patria gli sarebbe stato precluso.
Morì poco dopo, nel 1960.
Feltrinelli ha pubblicato Il Dottor Živago (1957, in nuova traduzione nel 2007), libro che è presto diventato un caso editoriale internazionale, lanciando anche la casa editrice e ispirando un film di grande successo.
Ci sono poi L’Autobiografia (1958), con i nuovi versi, Disamore e altri racconti (1976), e Il soffio della vita. Corrispondenza con Evgenija (1921-1931) (2001).