echi d’infinito…

Che notte chiara
di stelle
tutto è più dolce dopo un temporale
dopo i giorni del pianto
adesso si apre il cuore
Ma che sorpresa
cantando può nascere una rosa
anche dal fango
nei deserti più assolati
o negli eterni inverni

Ma che sorpresa
una rosa
ma che sorpresa…
Io vivo di accenti, di presentimenti
profumi che sento nell’aria
e vivo di slanci, di moti profondi
fugaci momenti di gloria
e nel silenzio del mondo
io sento echi di infinito.
Restami accanto nel tempo
non c’è più bella cosa che ci unisca
nella fortuna o nelle tempeste del destino
restami accanto per sempre
restami accanto…
Io vivo di accenti, di presentimenti
profumi che sento nell’aria
e vivo di slanci, di moti profondi
fugaci momenti di gloria
e nel silenzio del mondo
io sento echi di infinito

—–
E nel silenzio del mondo
io sento echi di infinito.

(di Mario Venuti e Kaballà)

Erri De Luca, Dev’essere perchè

“Durante i miei diciotto anni napoletani il golfo era il cortile della Sesta Flotta Americana. Quelle navi da guerra, il loro grigio chiaro, facevano parte del panorama. Una portaerei con vista Vesuvio era all’ancora davanti a Castel Dell’Ovo. Da una finestra assistevo a decolli e atterraggi degli aerei da caccia. Il chiasso delle loro accelerazioni sovrastava quello della città. Quando salpava l’intera squadra navale il golfo sembrava vuoto.
Napoli era la principale base americana nel Mediterraneo. La città non la percepiva come una minaccia, lo sbarco di migliaia di loro in libera uscita era al contrario una importante occasione di commercio. La servitù militare dava contropartite.

In questa primavera nel Mar Nero le navi da guerra lanciano missili contro città costiere.
Ricordo inoltre il mio stupore quando su un libro ho letto che l’incrociatore italiano, Eugenio di Savoia, aveva bombardato dal mare Barcellona, nell’inverno del 1937, durante la guerra civile spagnola.
Qualcosa urta dentro di me: navi che bombardano porti. Un atto scellerato che dovrebbe comportare il divieto di attracco a quelle navi in qualunque altro porto del mondo.
Ne risento come se bombardassero Napoli.
Dev’essere perché le città di mare scambiano con il mare la vita, non la guerra.
Dev’essere perché la stessa acqua collega le città di costa, sbattute dalle stesse onde.
Dev’essere perché il corpo si è fatto asciugare addosso il medesimo sale.
Dev’essere perché il mare è una placenta e le terre emerse stanno tutte avvolte nel suo grembo.”

Erri De Luca

brano tratto da fondazionerrideluca.com

poesie di Valerio Magrelli

legato alla vertigine che amo

Cosí arriviamo al nodo, alla vertigine

come attrazione del vuoto, incomprensibile

amore della paura.

(Bisogna sempre pensare alle mani

che serrano spasmodicamente il loro appiglio.

Sta a loro dire quanto costi caro lo sforzo di trattenersi:

vorrei venire da te, ma non posso farlo).

***

in fondo al tuo silenzio, mentre leggi

Il vuoto del tuo corpo,

il suo silenzio,

dimostrano che il padrone non è in casa.

Resta solo il cappello, posato sulla sedia

per occupare il posto dell’assente.

Quando leggi, vai via, e mi lasci solo.

***

Maggio

( per Henry Beyle)

Ci siamo, la lunga salita

sta per finire.

Tra poco riusciremo ad affacciarci

in cima,

in cima all’altopiano dell’estate.

Fa ancora freddo, piove, tira vento,

ma già qualche ragazza va ammainando i vestiti,

per splendere,

asta nuda della sua nudità.

Ma già le notti tradiscono il profumo.

Ma già si intravede la vetta, la bellezza

come promessa di felicità.

***

il funerale laico

Ormai non è rimasto quasi niente,

né schiavi immolati, né balsami,

né roghi, né incenso, né prefiche.

Qualcuno parla, si applaude, il dolore

viene giú senza riparo:

un acquazzone all’aperto.

L’unico sacerdote è l’impresario

di queste funebrissime non-pompe.

Non c’è rimasto niente, appena il morto,

e solo con un morto, si fa poco.

Abbiamo abbattuto le dighe

e il Niente è arrivato fin qua,

lambisce i fiori, circola fra i presenti,

certifica la nuda Verità.

Perciò mi è caro il funerale laico,

un senzatetto che ha come ridosso

o la Piramide o il Tempietto Egizio,

un rifugiato politico cui danno asilo solo i Faraoni.

Io so il motivo: è per colpa del fiume.

Qui, tutti noi aspettiamo

sulle rive del Nihil.

poesie di Valerio Magrelli, tratte da Il sangue amaro, Giulio Einaudi Editore

Valerio Magrelli, nato a Roma nel 1957, ha pubblicato cinque raccolte di versi. Le prime tre (Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980, Nature e venature, Mondadori 1987, Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), sono state riunite nel volume Poesie e altre poesie (Einaudi 1996), cui hanno fatto seguito Didascalie per la lettura di un giornale (Einaudi 1999) e Disturbi del sistema binario (Einaudi 2006). Sempre da Einaudi sono uscite le prose Nel condominio di carne (2003), Addio al calcio (2010) e Geologia di un padre (2013).

Docente di letteratura francese all’Università di Cassino, collabora alle pagine culturali di «Repubblica». Nel 2002 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio Feltrinelli per la poesia italiana.