le parole volano

Fossi acqua mitigherei
il fuoco del tuo tormento,
muterebbe  il tuo canto
non più  lamento

ma osmotica gioia
di appagati richiami.
Pacati o impetuosi
gli afflati d’amore
sorvolano confini, liberi
di mutare gelo in tepore,
vagano tra apostrofi,
accenti dispersi, versi già nati

o ancora in embrione.
S’illuminano di nuova luce,
sospiri  diversi in condivisione,
pare vogliano accomunare
tutti i cuori affranti col suo dire.

– Daniela Cerrato, 2017

Dipinto di Heidi Malott

Heidi Malott

Di antica sostanza

Pochi particolari immutati
da quando altri occhi s’affacciavano
alla finestra che oggi, aperta, offre
medesimo fronte, ma il cielo…
sembra, ma non è più lo stesso e in medesimo divenire
alberi cresciuti,  taluni mancanti, abbattuti,
fragili corpi trapassati con sogni, ideali, pulsioni
innamoramenti,  passioni intense,  sensualità,
amorevoli sussurri,  gioie e sospiri anch’essi estinti.
Tutto sepolto sotto strati d’un tempo remoto,
in buona parte sconosciuto che provo ad inventare
da qualche ritratto appeso che pare suggerire

e mentre anche l’oggi rapido si defila,
catturo ogni intensità e inspiro aria
da questo luogo intriso d’antica sostanza.
Nella stanza il profumo di storia non stantìa,

di mobilia che racconta quanto preziosi libri centenari,
trapelano umori ancor vivi da spesse pareti
attraversate da leggende, da presunti fantasmi,
da uno scricchiare che pare lamento
si amplifica l’emozione, si rinnova il cimento
di fantasticare con pieno favore dei sensi
sui dettagli carichi di un passato lontano,
che desidero a volte fosse anche il mio.

– Daniela Cerrato, 2017

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“L’un Part, L’autre Reste” – Charlotte Gainsbourg

 

Ont-ils oublié leurs promesses ?
Au moindre rire, au moindre geste
Les grands amours n’ont plus d’adresse
Quand l’un s’en va et l’autre reste

N’est-il péché que de jeunesse ?
N’est-il passé que rien ne laisse ?
Les grands amours sont en détresse
Lorsque l’un part et l’autre reste

Reste chez toi
Vieillis sans moi
Ne m’appelle plus
Efface-moi
Déchire mes lettres
Et reste là
Demain peut-être
Tu reviendras

Geste d’amour et de tendresse
Tels deux oiseaux en mal d’ivresse
Les grands amours n’ont plus d’adresse
Quand l’un s’en va et l’autre reste

Sont-ils chagrins dès qu’ils vous blessent ?
Au lendemain de maladresse
Les grands amours sont en détresse
Lorsque l’un part, et l’autre reste

De tristes adieux
Que d’illusions
Si c’est un jeu
Ce sera non
Rends-moi mes lettres
Et reste là
Demain peut-être
Tu comprendras

De tristes adieux
Que d’illusions
Si c’est un jeu
Ce sera non
Rends-moi mes lettres
Et reste là
Demain peut-être
Tu comprendras

Ils n’oublieront pas leurs promesses
Ils s’écriront aux mêmes adresses
Les grands amours se reconnaissent
Lorsque l’un part et l’autre reste

O sole nostro…

Sequenze di albe nei battiti del tempo,
giungi da est e infondi vitale tepore
sulla guancia del giorno appena sveglio
e lo sorprendi ancora impacciato, lento
nel pigro momento dello sbadiglio,
contorni di luce sagome infreddolite
dall’oscurità della notte, ne esalti le forme,
ne ravvivi i colori stagionali
e spinte via tenui velature autunnali,
spalanchi le braccia e intenerito sorridi
ai nostri eccessivi lamenti per un freddo in erba,
mentre bardati di spesse giacche a bavero alto
cerchiamo in cammino quel tiepido bacio
spesso carenti del tuo calore paterno.

– Daniela Cerrato, 2017

Art by Vladimir Kush

Vladimir Kush – Sunrise by the ocean

 

Intensità

Incandescenti intensità
dita che affondano,
nella carnale creta,
recettore plasmabile
di tattili creazioni,
sensibile e resistente
al passionale abuso,
epidermide che sigilla
un inconsolabile tormento
quando manca di tuo spirto
pur la minima espressione,
una parola che scivola
su pelle quale unguento,
uno sguardo, una piega del viso,
la passante soave carezza
sulle ali d’un messaggio inatteso
che spezza il vuoto più indecente.

Daniela Cerrato, 2017

Photo by © Connie Imboden Untitled , 1990

Connie Imboden Untitled , 1990

Ci rinuncio…

Inizio lentamente
in sequenza a contarle,
ma l’ordine sparso confonde.
Mi secca ma ricomincio da capo
con la serie numerica che snerva,
ha effetto contrario, sarà forse
l’intenso belato che non odo…
meglio rinunciare,lasciarle libere,
sparpagliate nel verde pascolo.
Con un numero minimo di gocce
sarà più rapido prender sonno,
del gregge non basterebbe la conta
le dovrei forse anche tosare…
ma ecco Morfeo che le viene a salvare.

-Daniela Cerrato, 2017

Photo by © Herman Van Bon https://elementaryposters.com/2017/10/17/sheep-in-high-contrast/
sheep-in-high-contrast

Ethel Leontine Gabain (1883-1950)

Dedico questo spazio ad alcune opere dell’artista franco inglese Ethel Leontine Gabain, vissuta tra il 1883 e il 1950, moglie del pittore John Copley, sinora a me rimasta sconosciuta. Come spesso avviene, mi è capitato sotto gli occhi un dipinto che mi ha invitata ad iniziare la ricerca di altri lavori. Oltre ai ritratti ha dipinto anche paesaggi e nature morte, ma nel caso specifico ho scelto di proporre questi che seguono in quanto accomunati da un filo conduttore particolare: sono tutti ritratti di donne dai volti malinconici, dai colori romantici, tenui, mai chiassosi anche quando c’è qualche nota di colore più vivo. Per queste sue rappresentazioni si è avvalsa prevalentemente della stessa modella, Carmen Watson, che ha posato per lei più di sessanta volte.

La prima immagine è la foto dell’artista.

Portrait of Ethel Gabain - Private Collection

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(c) Peter Copley; Supplied by The Public Catalogue Foundation

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Ethel Léontine Gabain (1883-1950)Diana Wynyard in ‘The Silent Knight_--the-canaries-the-bride

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La cultura non si mangia ma va in malora

Appunti Alessandrini

Domenicale Agostino Pietrasanta

Risultati immagini per santa croce

La tragedia più devastante è sempre la vita di una persona; e ieri, dopo il crollo di un capitello (“peduccio”) nella basilica di S. Croce a Firenze, un turista colpito dalla caduta, ci ha rimesso la vita. Tanto basterebbe per accompagnare la notizia con rispettoso silenzio, ma qualche considerazione mi sarà permessa. Potrei completare la mia nota settimanale proponendo un elenco delle rovinose condizioni di tanto patrimonio artistico della nazione: da Pompei, ad Acireale, alla basilica di Loreto, alla reggia di Caserta si darebbe la stura ad un’elencazione impietosa per un Paese che possiede un tesoro d’arte abbandonato, almeno in parte cospicua.

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Onirico déjà vu

Sto camminando per la città, manca poco alle sette del mattino e da sotto i portici si scorge tutto leggermente confuso a causa di una nebbiolina che rende ogni colore come sbiadito.
Sono in una zona dove lo sguardo è appagato da palazzi d’epoca molto belli che raccontano un architettura signorile, a cavallo tra ‘800 e ‘900; richiamata come da un irresistibile forza magnetica  mi sono avvicinata a un portone originale, massiccio, di gran pregio, di quelli che da sempre  attraggono a prima vista, col fascino e la severità dello sguardo di una grande effige-battacchio egregiamente scolpita.
Gli anni gli hanno tolto l’antico smalto, ma rimane inalterata la bellezza dell’ opera d’arte, interessante quanto la facciata di cui fa parte che ha acquisito valore intrinseco proprio dalla storia che ha attraversato.
Resto a osservarlo attentamente seguendo ogni incisione e dettaglio, tanto che dopo una decina di minuti mi pare che qualcosa di suo appartenga ai miei ricordi e voglia suggerirmi qualcosa.
Sto pensando a come potrebbe essere altrettanto ricco ed imponente l’atrio cui vieta l’accesso, e così anche gli appartamenti di cui è antico custode.
In strada non c’è molta gente, non sono di fretta  e nessuno sta guardando in questa direzione, così provo a spingerlo, e nel mentre mi accorgo che non c’è serratura; trovo strano non averlo notato prima, forse ero presa solo dalla bellezza artistica.
E’ molto pesante ma con un po’ di fortuna e di sforzo riesco a spostarlo di qualche centimetro, poi ancora oltre, giusto lo spazio per accedervi. Varcata la soglia un inatteso stupore mi coglie.
Non c’ è androne, nessun edificio direttamente collegato, ma un incrocio di strade alberate che parte da un piccolo slargo, da cui assisto a una circolazione quasi del tutto pedonale, auto assenti e poche carrozze a cavalli, persone vestite con abiti di un’altra epoca, sobri ma eleganti, con un procedere meno frenetico di quello che son abituata a vedere.
Così provo a mischiarmi tra quella gente, qualcuno mi guarda stupito, probabimente per i miei abiti, anacronistici, forse stravaganti ai suoi occhi; percorro un breve tratto, lentamente,  notando pochissimi negozi, nessuno vaga parlando ad alta voce col vicino o al cellulare, nessun frastuono di motori e mentre la curiosità mi  sgrana gli occhi e mi  orienta la testa in tutte le direzioni, realizzo di trovarmi probabilmente a fine ottocento, così almeno mi sembra, ed è tutto così incredibilmente eccitante che stento a credere a ciò che sto vedendo, eppure sono realmente capitata in una dimensione in cui mi troverei assolutamente a mio agio.
Ad un tratto però si è fatto scuro il cielo, sento sul viso i primi goccioloni di pioggia e, non sapendo dove ripararmi da un probabile acquazzone, ritorno sui miei passi e raggiungo nuovamente il portone per trovar luogo sicuro sotto i portici che ho lasciato.
Sicuramente tornerò un’altra volta con più tempo e miglior giornata, il luogo è facile da individuare e del portone non posso scordare la fattezza, intanto riaccosto alle mie spalle questa misteriosa porta del tempo, scoperta per caso (o forse non…); chissà se questo salto temporale lo potrò recuperare, lo spero vivamente, perchè ci sono tante domande cui vorrei rispondere coi miei occhi.
Ma d’improvviso questo desiderio sfuma del tutto, mi desto e realizzo che purtroppo era solo un sogno alimentato probabilmente da recondite fantasie. Un vero peccato, si, un vero peccato.

-Daniela Cerrato, 2017